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mercoledì 5 marzo 2014

Parole sommesse


Mi sono interrogato, spesso, sul decorso della mia vita. Sul suo esordio al buio e la sua fine, anch’essa poco chiara.

Ho sempre creduto che il mio continuo itinerario, attraverso regioni e stagioni diverse, fosse un’avventura da scoprire, fatta di tanti momenti chiari e oscuri, belli e brutti. Una cosa sola ho continuamente voluto fare: non permettermi di vivere senza quelle ragioni che mi offriva il percorso. Ho capito che i ponti sono molto di più che ricongiungere rive opposte. Essi mi aprivano la comprensione della diversità delle sponde che separano gli uomini e dell’urgenza di un contattarsi senza alienamenti. Ho visto anche come in qualunque parte c’è una cosa che appare e un’altra che traspare.
Come nelle acque vi è una vita nascosta ma, allo stesso tempo, un guizzare di esseri sempre pronti a non lasciarsi imbrigliare da rotte preconfezionate. Mi sono spinto a pensare alla libertà che, però, è navigare senza mai uscire fuori dall’acqua. Un vivere in modo orizzontale, in qualunque direzione, ma senza mai varcare i limiti oltre i quali incontrerei la morte. Ma ho anche visto esperienze di animali che occupano lo spazio delle acque, ma che hanno anche la possibilità di sostare sull’asciutto, con l’apparenza di meditare.
Mi son detto se questa non fosse anche la rappresentazione in cui vive l’uomo che trova posti e tempi per interiorizzare, anche se, all’apparenza, si avvicina molto a quelle tartarughe immobili, con la testa volta a guardare la luce.


Non sempre quello che porto dentro ha riscontro fuori né tantomeno posso dimostrare che dentro di me vi è il mondo del pensiero dei sentimenti in cui s’agita una vita diversa da quella che si vede fuori.
 
Ho visto, con una certa chiarezza come sono un mondo a doppia faccia: fuori, concreta e visibile, ma dentro evanescente e non dimostrabile.
Molti preferiscono restare all’esterno dove si vive nell’agitazione e nella concretezza, mentre nell’intimo possono solo emergere lanciando un ponte di parole che li ricongiungono agli altri e ricongiungere le sponde.
 
Ma in tutto questo mi chiedo, molto som-messamente: il mio voler cogliere i sensi profondi della realtà che mi circonda e comunicarlo agli altri, trova una sponda amica su cui poggia il mio ponte, oppure quanto s’agita nelle mie acque profonde non sono altro che pesci che guizzano senza meta, privi di ogni ragione se non quella di allietare il visitatore compiaciuto e curioso?
 
 
 
Io continuerò a bearmi di luce, come quelle tartarughe al sole,
 
 
 
 
pronunciando solo … parole sommesse.
 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

le parole sommese le può sentire solo chi ti è molto vicino! Mi permetti una domanda indiscreta?
Beandoti di luce e continuando a parlare con parole sommesse non sottintendi quasi : rinuncio ai ponti crogiolandomi nella mia beatitudine, la sponda amica forse c'è e forse no, preferisco rimanere nel dubbio, che tutto sommato mi scomoda meno?

Lorenzo Vecchiarelli ha detto...

Un commento che non si avvicina alle cose come sono state pensate. Sommesso non si identifica a parole dette ai vicini, ma parole che non vogliono invadere il campo di chi vuole ascoltare senza essere sopraffatto dal roboante suono di chi parla e si vuole imporre. Parole sommesse per chi vuole ascoltare e non per chi è vicino. Inoltre la mia "beatitudine" non è isolamento e distrazione dagli altri. Chi opera in questo modo non sarà mai beato, anche perché nel tuo commento ravvedo solo uno spicchio di amarezza, che non si addice a chi ha il cuore puro.

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