Il canto degli uccellini
Ogni mattina mi
dilettavo del cinguettio di due uccellini che, sul ramo dell’albero, davanti
alle finestre di casa mia, gorgheggiavano per un certo tempo. Ero felice
nell’ascolto, godendo dell’intreccio dei loro versi. Un fraseggio pieno di
intense armonie, con una partitura a me sconosciuta.
Un giorno
percepii un solo trillo e vidi che uno dei due era caduto a terra. Era morto.
Mi chiesi il perché di quella scomparsa e il criterio usato dalla natura per
scegliere lui e non l’altro. Che poi mi sarei interrogato allo stesso modo se
spariva il primo. Ma non seppi darmi una risposta precisa, se non ragioni senza
ragionamenti, risposte che non mi acquietavano.
Passò del tempo
e un giorno mi fu dato il responso: il silenzio dell’uno favoriva il gustare il
canto dell’altro.
Lentamente
imparai a capire il valore, fino allora poco apprezzato, della quiete che ha
tutto un suo fascino, quando non si riempie di suoni. Ma poi, inoltrandomi in
queste riflessioni, capii che stare zitti è non far valere le proprie ragioni o
sentimenti, ma renderti aperto al gusto delle armonie degli altri, per farle
proprie.
Questo non
toglie alcun valore alle prestazioni personali, ma favorisce il dono del prossimo
che, se amiamo, diventa anche nostro.
Siamo parte di
un universo che diventa ricco anche quando taluni silenziano il proprio canto e
fanno proprio quello degli altri. È un vivere la comunione, senza il mio o il
tuo, con chi diventa una parte di te stesso.
Incominciai a sentire,
stranamente, la presenza del canto di quell’uccellino sparito come l’offerta di
una comunione con chi, invece, gorgheggiava.
Mi resi conto
che, nell’ascoltare quei fraseggi armoniosi, io vivevo il silenzio.
Il silenzio diventa comunicazione quando crea, nel
nostro cuore, il desiderio di ascoltare l’altro, con il quale si stabilisce una
vera e profonda comunione d’intenti.
Parla uno, ma
si è in due a vivere la stessa parola.
0 commenti:
Posta un commento