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giovedì 7 maggio 2015

Il canto degli uccellini


Il canto degli uccellini


Ogni mattina mi dilettavo del cinguettio di due uccellini che, sul ramo dell’albero, davanti alle finestre di casa mia, gorgheggiavano per un certo tempo. Ero felice nell’ascolto, godendo dell’intreccio dei loro versi. Un fraseggio pieno di intense armonie, con una partitura a me sconosciuta.
Un giorno percepii un solo trillo e vidi che uno dei due era caduto a terra. Era morto. Mi chiesi il perché di quella scomparsa e il criterio usato dalla natura per scegliere lui e non l’altro. Che poi mi sarei interrogato allo stesso modo se spariva il primo. Ma non seppi darmi una risposta precisa, se non ragioni senza ragionamenti, risposte che non mi acquietavano.

Passò del tempo e un giorno mi fu dato il responso: il silenzio dell’uno favoriva il gustare il canto dell’altro.
Lentamente imparai a capire il valore, fino allora poco apprezzato, della quiete che ha tutto un suo fascino, quando non si riempie di suoni. Ma poi, inoltrandomi in queste riflessioni, capii che stare zitti è non far valere le proprie ragioni o sentimenti, ma renderti aperto al gusto delle armonie degli altri, per farle proprie.
Questo non toglie alcun valore alle prestazioni personali, ma favorisce il dono del prossimo che, se amiamo, diventa anche nostro.
Siamo parte di un universo che diventa ricco anche quando taluni silenziano il proprio canto e fanno proprio quello degli altri. È un vivere la comunione, senza il mio o il tuo, con chi diventa una parte di te stesso.
Incominciai a sentire, stranamente, la presenza del canto di quell’uccellino sparito come l’offerta di una comunione con chi,  invece, gorgheggiava.
Mi resi conto che, nell’ascoltare quei fraseggi armoniosi, io vivevo il silenzio.
 

 Il silenzio diventa comunicazione quando crea, nel nostro cuore, il desiderio di ascoltare l’altro, con il quale si stabilisce una vera e profonda comunione d’intenti.
 Parla uno, ma si è in due a vivere la stessa parola.

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