AVARIZIA
Un
mozzicone di candela illuminava il buio cupo di una stanza, ospite di un
tavolino tarlato dove l’avaro contava le sue monete. Aveva la vista bassa, gli
occhi fissi, lo sguardo perso.
Era in preda all’angoscia: ogni giorno
spariva un centesimo e non si dava pace. Si augurava solo di riuscire a
scoprire il ladro e, intanto, gli gridava:
- Esci allo scoperto, che ti faccio
allo spiedo !
Niente.
Il suo capitale diminuiva, come pure la sua felicità, mentre cresceva
l’avarizia e l’ingordigia. L’assenza di quelle preziose monetine lo
distruggeva. Le cercava, le chiamava, piagnucolando:
- Dove siete ? Rispondetemi! Perché
vi nascondete a me che vi amo tanto ?
C’era
anche un merlo indiano, allo stato libero, in quella stanza che osservava
divertito il suo padrone. Appariva denutrito, perché il suo cibo era scarso e
scadente, e la fame era tanta. Anche i suoi fischi diventavano sempre più
rauchi e andavano spegnendosi. Faceva veramente pena.
Dopo
alcuni giorni, l’uomo morì di dolore. Il suo cuore non aveva retto al colpo,
eppure quei pochi centesimi non significavano nulla rispetto all’enorme somma
di denaro accumulata durante gli anni.
Qualcuno
notò che, sul suo letto di morte, erano riapparse le monetine. Il merlo fu
visto andare e venire dalla gabbia dove aveva nascosto il denaro sottratto
all’avaro, credendolo commestibile. La fame l’aveva reso demente.
Adesso
diceva al suo padrone morto, con un fil di voce:
- Io, ora, restituire a te tutte
monetine tue, così tu, sempre trovare pace e essere felice.
Non accumulare tesori che un giorno dovrai
abbandonare. Dice un proverbio tedesco: « Quando l’avaro muore, il suo denaro
respira ».
Inco
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