Eccomi alla seconda
definizione, quella che vuole inquadrare il tempo. Esso
può essere descritto come il vuoto che
perde la sua inconsistenza solo se si riempie. È un vuoto da colmare. Qualcuno
lo ha definito la misura di un movimento, con in riferimento a un “prima”
e un “dopo”. A me personalmente piace
vederlo nella prospettiva dell’ elan
vital, una specie di fluido o spinta vitale in cui ognuno di noi si muove
nella propria esistenza. Ma tutti questi pensieri sono solo formulazioni che
restano distanti dalla vita concreta. Per me il tempo è variazione che ha bisogno di alterazioni.
Qui siamo in presenza di varie
catalogazioni che vanno dal silenzio, alla melodia, alla parola, al sentimento.
Incominciamo col silenzio. Esso non è
semplice assenza di suoni o vibrazioni interiori. Il vero silenzio è discesa
nella propria “identità”. Nel nostro intimo noi siamo silenzio, cioè sintesi di
tutto e di nulla. Il nostro essere è silenzioso, perché traduce ciò che siamo
veramente, cioè l’immenso che avvolge ogni cosa.
Oltre il
silenzio, il tempo si riempie anche di armonia, non identificabile alle note,
ma partecipe di questa composizione. Forse in tale percezione armonica si vive
nella sfera del tempo che si assimila con stati interiori, generati dalla
varietà di suoni che stimolano, nell’intimo dell’uomo, suggestioni, stati, intendimenti
che sono come palpitazioni dell’anima che vive momenti di continua transizione
da un momento all’altro e che qualificano il tempo come uno scorrimento gradevole
e carico di sensazioni, che sembrano emergere dalla propria esistenza.
Se poi ci rifacciamo alla profonda natura del trascorrere della vita umana il tempo lo si avverte in tutta la sua essenzialità solo chi è nella sofferenza, che però deve avere continue alterazioni. Mi spiego. Chi soffre, a differenza di chi gode, vive gli istanti della propria esperienza come inchiodato al presente, che si allunga quando la sofferenza diventa pressante. Soffrire è vivere il momento come un attimo che si prolunga in un susseguirsi di istanti, in cui pulsa la voglia di fuggire dal proprio dolore. È in questa esperienza particolare che il tempo acquista una dimensione in cui il vuoto si riempie di desiderio, che è tanto più forte quanto più è decisa e incombente la sofferenza. Qualcuno può pensare: perché non rifletterlo sulle altre impressioni, come la gioia, la speranza, la vita stessa?
Io credo che
ogni movimento interiore allo spirito umano ha la prospettiva della sofferenza,
valicata nella gioia, non oltrepassata nel dolore. Tutto il nostro mondo
spirituale è un altalenare tra dolore e gioia, tra variazioni di intensità che
colpiscono l’animo umano che scandisce i vari mutamenti dal male all’allegria,
e rendono il tempo come un transito di sensazioni.
Ed eccoci
all’uomo che, continuamente, prova a vivere fuggendo dal dolore che, in se stesso, è indefinibile. Esso è come un
arresto di vitalità che si ferma, si blocca in un presente che appare senza la
prospettiva di un futuro.
Soffrire è chiusura
della propria vita in un qualcosa che la contrasta . Ed è qui che il tempo «si allunga» e il vuoto si riempie di una
sosta che esige un superamento.
Nella gioia, invece, si ha un’altro intendimento del tempo che contiene, nel suo intimo, la sofferenza latente di una fine: si ha la paura che, prima o poi, tutto termini, e questo installa, nel cuore della stessa gioia, un segreto e un non ben definito senso di precarietà. Anche nella stessa gioia è nascosto il timore che genera la paura della fine.
Quando, allora,
la nostra storia si svolge in avanti, ecco che il tempo è avvertito come una
continua variazione di momenti, che si susseguono o si alternano in una costante
opera zione di molto o poco, fremendo
che cessi il dolore o che non finisca la gioia.
Sembrerebbe,
tutto questo, lo scorrimento, non tanto piacevole, anzi angoscioso,
dell’esistenza, ma diciamo subito che il nostro spirito ha la capacità di
prospettare una grande e infinita sintesi di questi momenti che, alternandosi,
sono vissuti sempre con una misteriosa accettazione di fondo. Aspiriamo a non raggiungere
la conclusione di un momento felice e a non restare schiavi dell’ istante doloroso.
Non è facile
considerare il tempo come un vuoto contenitore passivo che ingloba le diverse alterazioni
del nostro animo. Ecco perché sentiamo il continuo bisogno di riempirlo di
nuove programmazioni che l’uomo sceglie, come il miglior antidoto per finire
nella noia. E così mettiamo dentro di noi tutte le diverse distrazioni, miste a
impegni mondani e mescoliamo le svariate sensazioni da provare per creare
sentimenti che ci diano, spesso, l’illusione di una vita intensa.
Viviamo sempre
con l’ansia di nuove variazioni, il più delle volte gradevoli e poco impegnative
perché tutto il nostro sforzo è mantenerci distanti dalla sofferenza che, però
non siamo riusciti ad eliminare. Anzi sembra essere prevalente e non gestibile.
Oggi viviamo in un quotidiano che riempie gli spazi di flash, istantanee, scatti fotografici che non ci legano al presente con l’immediatezza di fatti rapidissimi, che non oltrepassano attimi fuggenti. Anche il pensiero e gli affetti maturano all’interno di un tempo sempre più conciso, rapido, fatto di lampi, con grandi prospettive di continuare a lampeggiare. Possiamo dire che anche le stesse stagioni si stanno assottigliando fino a diventare un continuo l’una dell’altra, anche se restano ancora leggere variazioni. Il tempo fluttua veloce come un baleno, riempiendosi di soggetti appena accennati.
E ciò sta
accadendo a tutti i livelli, per cui contano solo le impressioni e, queste, non
durevoli. Stiamo creando insofferenza a tutto quello che si allunga nel tempo, per
cui siamo portati ad annoiarci, esasperarci se non si vive di continue novità, per
cui si crea il bisogno di guardare volti nuovi, consumare avidamente
originalità, scartando le forme vetuste, tenute in piedi solo nei musei o nelle
zone archeologiche. Cose del passato! Così il tempo è l’ambiente del
rinnovamento, ma senza passato.
In tal modo sta
sparendo il pensiero per sostituirlo con formule abbreviate, spesso tecnologiche.
Il tempo
continua ad essere vuoto, ma ci stiamo adoperando a riempirlo di variazioni
altrettanto precarie. Infatti basta vedere il fluire delle mode e il costante
rincorrerle ad ogni stagione. La stessa estetica si sta trasformando in
approssimazione, che non raggiunge mai la forma consistente, ma solo
l’apparenza, impalpabile e molle. E il tempo si consuma, fino a perdersi nella
ripetizione. Nihil novi sub sole. Ma questo lo mascheriamo con svariati
infingimenti che chiamiamo culturali.
È un discorso
senza speranza ? Assolutamente no.
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