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sabato 18 ottobre 2014

Definizioni - La solitudine



L’ho scoperta come una folata di vento fresco soffiato in una giornata di arsura. Ne avevo sentito parlare e, in prima persona, vissuta in tutto il suo aridume. Ti senti come ritagliato in un mondo fatto di sequenze armoniche in cui sei una nota stonata. Vibri nell’aria con una certa insoddisfazione che nasce dal fatto che non sei integrato da nessuna parte. Suoni e basta senza alcun riferimento a uno spartito. Cerchi di armonizzarti con quanto ti circonda e trovi solo uno stridore che ti penetra e ti coinvolge.





Ma in un giorno, in un tempo indefinito o in un istante, balenato all’improvviso, eccomi preda della solitudine non più come un disagio, ma come un silenzio che mi avvolge, mi penetra in modo sommesso e mi rischiara le profondità del mio essere. Mi si presenta in tutta la sua meravigliosa ricchezza che modella, dentro il mio essere, una precisa forma di esistenza e mi conduce alla comprensione che niente si definisce se non si arriva ai margini estremi della solitudine. 

L’ho vista riflessa in quel mare che si arrendeva alla spiaggia. Lasciandosi circoscrivere dalla sabbia e marcando in esse i suoi ultimi vagiti spenti di un’ onda. Mi è apparsa in tutto il suo splendore nei ritagli di nuvole che si ornavano di luce solare, e acquistavano le parole silenziose del cielo. L’ho vissuta nel mio intimo come un tocco di tutto e di niente.

Ma l’ho anche vista in un letto ammorbato dal male, in una madre dimenticata  dal figlio preso dalla sua storia, in un anziano che vagava tra le panchine di un parco e non si sentiva pensato da nessuno. Ho conosciuto i due volti della solitudine, uno che macera l’anima dell’uomo l’altro che dona allo spirito umano un tocco di singolarità.

Ho capito che la solitudine è un mistero che affatica taluni uomini, mentre ricompone nell’intimo altri. E possiamo definirla l’ambiente in cui maturano cetuni e deperiscono altri. Essa è la definizione della propria identità o l’oscuro angolo buio dell’umanità che tende a dimenticare il dolore, la vecchiaia, insoddisfazione, l’angoscia.  Pregio per chi, entrando nel proprio intimo, scopre la grandezza dell’essere umano, non confuso con altri. Disgrazia per chi, al contrario, si vede in tutta la sua limitatezza, che è fonte di scarto.


Ci fu un momento, non so se definirlo privilegiato oppure di grande coscienza, che è la spiaggia di ogni dolore, e fu quando vidi un bambino malato, chiuso in una carrozzella e nascosto agli occhi del mondo che lo circondava. Era al centro dell’attenzione amorosa dei suoi cari, che lo proteggevano dagli sguardi indiscreti e molto pietistici del prossimo. I suoi lo amavano, gli altri lo compativano benevolmente. Quel bambino viveva la sua solitudine dorata, piena di tanta tenerezza, da parte dei suoi, ma non posso negare che a fronte di tanta attenzione, egli era e sarà stato, perennemente solo in un mondo dove la sua diversità diventa commiserazione o fonte di tante parole che, in fondo, altro non proclamano il suo essere … solo. 

E l’amore di cui è circondato dai suoi finisce, come l’onda, sulla spiaggia assolata del mondo che muore silenziosa sulla battigia bagnata.

2 commenti:

Marcello ha detto...

Penso che la visione positiva scoperta da Lorenzo nella solitudine sia un dono per pochi.
La solitudine, tema un po’ leopardiano, credo che oggi sia per molti solo un grande peso, a volte insopportabile.
Così è quella che deriva dal pensiero che va par la maggiore: io mi faccio gli affari miei e basta.

A me, anziano (in realtà vecchio), preoccupa soprattutto la solitudine dei giovani, solitudine spesso forzata dalla mancanza di lavoro, dalla mancanza di qualcuno che cerchi di dare loro delle prospettive, da soli non è facile trovarle.
Non che non mi preoccupi la solitudine degli anziani, ma almeno, loro (me compreso) hanno potuto godere di tempi migliori, e possono essere stati un po’ causa del presente degrado.

Non ho una cura rapida per chi non ha il dono di Lorenzo, ci penso su, le cause possono anche essere trovate, ma i rimedi molto meno facilmente.
Le cause: semplicemente l’egoismo, unito ad una cultura non sempre all’altezza dei tempi, con una spesso scarsa conoscenza di come funziona una collettività, del potenziale che avrebbe per tutti se si acquisisse una maggiore comprensione di come andrebbe tutto meglio solo pensandoci un po’ su uscendo dal proprio egoismo.

Soprattutto manca un ideale, una fede che ci guidi, ci aiuti a trovare una strada, la strada veramente migliore per noi, che sarebbe automaticamente la strada migliore per tutti. L’interesse personale, il materiale, non bastano, basta notare quanti, un tempo considerati potenti ed invidiati da tutti, sono ora in prigione, si sono suicidati o peggio, spesso dopo una vita d’inferno.

La fede invece ha portato tanti uomini a grandi cose.
Volendo semplificare: occorre amare il prossimo, preoccuparsi di lui, studiare il mondo, cercare di fare collettività.
Difficile da fare, ma indispensabile. Qualcuno c’è riuscito, credendo.

Marcello

Ale ha detto...

Condivido pienamente le riflessioni di Marcello

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