Siamo
pacifici, non pacifisti; “operatori”, non “partigiani” della pace. Ciò
significa che tendiamo la mano al fratello per fargli costatare che non è
armata; che il saluto “pace con te” è l’inizio di un dialogo, nel quale però
bisogna essere in due. Certo, molte cose dividono: visioni del mondo nelle
quali i valori da difendere (perché “da difendere” e non “da amare”?) rischiano
di separarci sin dall’inizio, perché le parole sembrano avere suono e
significati diversi. Potremmo riconoscerci, invece, nella ricerca di pochi,
semplici criteri comuni: il bisogno di consolazione (il dolore affratella), la
necessità che ci sentiamo spiegati nella voce dell’altro, perché forse noi
stessi non capiamo la nostra. Prossimo, che cosa ti fa piangere? Prossimo, puoi
ascoltare ciò che fa piangere me? Abbattiamo il diaframma, incontriamoci.
Angelo
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