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martedì 8 gennaio 2019

La sorgente della gioia


La gioia, che nasce dall’affanno del quotidiano,
è inserita come speranza di ogni sofferenza
che si sublimerà in una eternità felice.



        Voglio raccontare la storia di due ceppi di pino, caduti entrambi, in una notte di forte vento.
Il primo, quello più vicino alla terra, lungo e affusolato, non fece una gran caduta e si dimostrò pieno di parole. Parlava perché ave-va visto lepri, tassi, scoiattoli che lo avevano svegliato di notte, prima di cadere. Si chiedeva, con forte curiosità, il perché della sua caduta, prossima a quella lingua d’acqua che lo circondava: una sorgente.
Raccontava, senza fine, delle sue lunghe nottate vicino a quegli animaletti che non esitavano ad accompagnarlo nella sua lenta caduta, dal posto in cui era stato spezzato. Il vento furioso lo aveva avvolto e, senza tanti discorsi, divelto dall’albero. Ora rimpiangeva il suo luogo nascosto e l’amicizia nata con alcuni piccoli scoiattoli che si erano sentiti sicuri e protetti dalla sua presenza. Pensò subito alla sorte precaria, in cui aveva vissuto la sua esperienza di ramo felice. Si chiese, con stupore, che senso acquistava la sua vita staccata dal pino. Temette, per molto tempo, sulla sua perduta identità di cui era stato spogliato dal vento. Non sapeva pensare ad altro che alla sua origine di terra, la quale lo aveva avvicinato a tutti quei suoi piccoli amici, che riportavano alla sua memoria i tempi felici del suo passato.
Il secondo ceppo gestiva ancora la freschezza delle alture e qualche fiocco di neve era rimasto adagiato sui suoi aghi. Quando soffiava il vento lo sentiva gemere come quando era attaccato alla cima dell’albero. Ricordava il grido delle aquile e dei condor, e la visione della vallata vista dall’alto. Si sentiva felice nei suoi ricordi, quasi tutti permeati dai soffi del vento. Era legato al freddo e allo squittire di tanti animali che rimembrava, a distanza. Il suo ricordo più bello era l’aria gelida, che portava il lamento della valle. Il suo paradiso era segnato dalla neve e dall’eco distante delle aquile in volo.
Per il primo ramo il paradiso era rappresentato dai suoni della natura, che lo raggiungevano in ogni istante della giornata. Amava il vociare degli animali e il gorgoglio delle acque che lambivano le sponde del pino su cui era vissuto. Nel tramestìo dei suoni che nasce-vano intorno a lui, leggeva il paradiso con un continuo armonizzare di rumori, generati dagli scoiattolini sempre in continuo movimento.
Mentre il ramo più alto, tranciato dalla violenza del vento, riportava in terra il suo fischio gelido e la bellezza delle cime innevate. Il paradiso si componeva di cielo e di terra.
Io vivevo estasiato da queste due dimensioni. Intanto ascoltavo un fiume che scorreva placido, spumeggiante e accogliente in sottofondo, e il fresco soffiare del vento che ripeteva, sulla terra, la sua ansimante bellezza delle vette imbiancate, meravigliose ma così distanti.
Il mio Paradiso è un miscuglio di Cielo e di terra, di armonie appena accennate che vivificavano tutti gli altri suoni. Io me ne sto quieto e sereno in mezzo a tanta magnificenza e lascio partire espressioni di gioia e di amore che si spandono nell’aria, come sospiri che rivelano la mia felicità di rami spezzati e fluiscono, dalla mia lingua, come armonie in cui la terra e il Cielo vivono in simbiosi i diversi incanti del creato.



Domanda:


Credi nel senso di ogni sofferenza? 
                                                                                 Lorenzo







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