La gioia, che
nasce dall’affanno del quotidiano,
è inserita come
speranza di ogni sofferenza
che si sublimerà
in una eternità felice.
Voglio raccontare la storia di due ceppi
di pino, caduti entrambi, in una notte di forte vento.
Il primo, quello più vicino alla terra,
lungo e affusolato, non fece una gran caduta e si dimostrò pieno di parole.
Parlava perché ave-va visto lepri, tassi,
scoiattoli che lo avevano svegliato di notte, prima di cadere. Si
chiedeva, con forte curiosità, il perché della sua caduta, prossima a quella
lingua d’acqua che lo circondava: una sorgente.
Raccontava, senza fine, delle sue lunghe
nottate vicino a quegli animaletti che non esitavano ad accompagnarlo nella sua
lenta caduta, dal posto in cui era stato spezzato. Il vento furioso lo aveva
avvolto e, senza tanti discorsi, divelto dall’albero. Ora rimpiangeva il suo
luogo nascosto e l’amicizia nata con alcuni piccoli scoiattoli che si erano
sentiti sicuri e protetti dalla sua presenza. Pensò subito alla sorte precaria,
in cui aveva vissuto la sua esperienza di ramo felice. Si chiese, con stupore, che
senso acquistava la sua vita staccata dal pino. Temette, per molto tempo, sulla
sua perduta identità di cui era stato spogliato dal vento. Non sapeva pensare
ad altro che alla sua origine di terra, la quale lo aveva avvicinato a tutti
quei suoi piccoli amici, che riportavano
alla sua memoria i tempi felici del suo passato.
Il secondo ceppo gestiva ancora la
freschezza delle alture e qualche fiocco di neve era rimasto adagiato sui suoi
aghi. Quando soffiava il vento lo sentiva
gemere come quando era attaccato alla cima dell’albero. Ricordava il
grido delle aquile e dei condor, e la visione della
vallata vista dall’alto. Si sentiva felice nei suoi ricordi, quasi tutti
permeati dai soffi del vento. Era legato al freddo e allo squittire di tanti
animali che rimembrava, a distanza. Il suo ricordo più bello era l’aria gelida,
che portava il lamento della valle. Il suo paradiso era segnato dalla neve e
dall’eco distante delle aquile in volo.
Per il primo ramo il paradiso era
rappresentato dai suoni della natura, che lo raggiungevano in ogni istante
della giornata. Amava il vociare degli animali e il gorgoglio delle acque che
lambivano le sponde del pino su cui era vissuto. Nel tramestìo dei suoni che
nasce-vano intorno a lui, leggeva il paradiso con un continuo armonizzare di
rumori, generati dagli scoiattolini sempre in continuo movimento.
Mentre il ramo più alto, tranciato dalla
violenza del vento, riportava in terra il suo fischio gelido e la bellezza
delle cime innevate. Il paradiso si componeva di cielo e di terra.
Io vivevo estasiato da queste due
dimensioni. Intanto ascoltavo un fiume che scorreva placido, spumeggiante e
accogliente in sottofondo, e il fresco
soffiare del vento che ripeteva, sulla terra, la sua ansimante bellezza delle vette imbiancate, meravigliose
ma così distanti.
Il mio Paradiso è un miscuglio di Cielo e
di terra, di armonie appena accennate che
vivificavano tutti gli altri suoni. Io me ne sto quieto e sereno in
mezzo a tanta magnificenza e lascio partire espressioni di gioia e di amore che si spandono nell’aria, come sospiri che
rivelano la mia felicità di rami spezzati e fluiscono, dalla mia lingua,
come armonie in cui la terra e il Cielo vivono in simbiosi i diversi incanti
del creato.
Domanda:
Credi nel senso di
ogni sofferenza?
Lorenzo
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