Al termine della nostra vita terrena, quando il corpo
cessa le sue funzioni vitali, il nostro essere, quello che alcuni di noi chiamano
anima, prima di iniziare quella nuova vita che ci è difficile, anzi impossibile
immaginare, ma che crediamo esista e sia eterna, il nostro essere, dicevo, la
nostra anima, viene giudicata, "singolarmente",
sulla base del nostro vissuto terreno.
“A giudicare i vivi
e i morti” ce l’ha annunciato Gesù. Nella sua predicazione ha parlato di “Giudizio dell’ultimo Giorno”, quando sarà
giudicata la condotta di ciascuno e verrà condannata l’incredulità colpevole di
chi non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio.
Sarà dunque Cristo stesso a giudicarci, lui che ha
assunto la natura umana e che perciò conosce ogni nostro recondito risvolto
umano caratterizzante la nostra presenza in questo mondo. Ci potrà quindi
giudicare come uomo, come un fratello piuttosto che come un Dio ignoto e
distante. “Il Padre, infatti, non giudica
nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio
come onorano il Padre" (Gv 5, 22-23). Lo ha promesso Dio quando,
riferendosi al Cristo, ha pronunciato la frase “se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io
gliene domanderò conto” (Deuteronomio 18,19) in ciò prefigurandone la
natura divina.
Confesso di avere qualche difficoltà a comprendere il giudizio
sui vivi e quel “verrà” che lo
anticipa nel testo. Ci si riferisce al cosiddetto Giudizio Universale, quello
che avverrà alla fine dei tempi quando il Cristo ritornerà e riguarderà coloro
che saranno a quel tempo vivi.
Sappiamo, scientificamente, come sarà la fine del mondo
quando, se non avviene prima per altre cause, tra cinque miliardi di anni il
sole morirà per esaurimento dell’idrogeno e dell’elio che
sono i suoi combustibili da fusione. Allora si espanderà diventando
una stella del tipo gigante rossa, brucerà tutti i pianeti a lui vicini che vi
cadranno per collasso gravitazionale. Come tutto questo combaci con il ritorno
di Cristo e il Giudizio Universale è per me un mistero davanti al quale mi
fermo.
Come verremo giudicati, individualmente? Cristo ci ha suggerito
i termini del giudizio, chiarendoceli tramite le sue parabole, episodi umani
che comprendiamo perfettamente proprio perché sono umani anche se adombrano concetti
trascendenti.
Mi riferisco, in particolare, alle parabole
dell’amministratore (Luca 16, 1-9) e a quella dei talenti (Matteo 25,14-30). In
entrambe, seppure per scopi diversi, Gesù ci indica l’importanza della
responsabilità dei beni che ci sono stati affidati, responsabilità che ha senso
solo se Qualcuno, alla fine ce ne
chiede conto. Ho avuto certi doni naturali, la vita mi ha procurato occasioni
per fare del bene? Li ho sfruttati? Ho messo a servizio le capacità che ho, le
occasioni che mi si sono presentate oppure ho nascosto i talenti sotto terra
chiudendomi in me stesso o dissipato le fortune che mi sono piovute dal cielo
solo per il mio piacere?
Salvatore
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