Dio
rastrella il mio tempo
come la
rete i fondali,
o come il
vento
che spira
sulla pula,
lasciando
cadere il grano.
o come il
sole
che rende
leggiadra l’acqua
e
indurisce il fango.
Dio scopre
la dimensione
tra
l’attimo che sfugge
e quello
che sopraggiunge
come
l’ambito sufficiente
per ogni
mia decisione.
Dio
coglie, nel reale deserto
di tutte
le mie parole,
l’ardore
della sabbia
scaldata
dal sole,
portata
via dal vento
Riflessione.
Tanti credono in Dio come una presenza
metafisica, al di fuori di quel linguaggio che usiamo nelle nostre relazioni comuni. E’ un parlare semplice, immediato, senza
troppi raggiri, in cui ci sentiamo vicini per la comprensione che ci
affratella.
Quando parliamo di Dio, pur senza vederlo o toccarlo,
lo sentiamo stranamente presente in una specie di immagine che ci trascende.
Pur tuttavia la sua è una realtà che sentiamo diversa dalla nostra. Abbiamo
usato il termine «metafisico» quasi a volerlo situare in una sfera che non è la
nostra, ma al di là del nostro comune vivere. Possiamo dire che Dio non ci vive
accanto, ma «oltre». Non vogliamo macchiarlo con le nostre meschinità, ma
raggiungerlo, con la mente, nel suo mondo pulito, senza oscurità o errori. E in
questo avvicinarlo lo allontaniamo, perché lo sentiamo distante, lontano, quasi
estraneo.
Lo disegniamo nella nostra mente come un eterno
principio da cui provengono tutte le realtà che conosciamo e in tal modo,
volendo renderlo puro e intangibile, lo alieniamo da noi, perdendolo sempre di
più. Nasce un ateismo pulito, un Dio che non ci appartiene più, perché siamo
preoccupati dal lavoro di «risanamento»
della sua immagine.
Io lo sento vivo, forse confuso col mio deserto, dove
la sabbia delle mie parole è l’unico frammento del mio amore per Lui. Lorenzo
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