Un giorno un
bambino piccolo e gravemente malato, fece questa domanda a suo padre,
chiedendogli: «Papà, cos’è la gioia ?». E il padre, che aveva il cuore pieno
di ansie per la salute del suo figliolo, fece un gesto semplice ma molto
concreto. Abbracciò suo figlio con tenerezza e rispose: «Figlio, la gioia è
sentire la presenza di due braccia che ti stringono, perché ti amano ».
Quel piccolo non capì tutta la profondità di quella risposta, ma sentì che quell’abbraccio era solo per lui e che il papà glielo regalava. Nonostante le sue gambe fossero paralizzate da molto tempo, sollevato da terra ebbe come la sensazione che le gambe del papà fossero anche sue. Si accovacciò sul petto del padre e visse, per un istante, la gioia di essere parte viva di qualcuno.
Quel piccolo non capì tutta la profondità di quella risposta, ma sentì che quell’abbraccio era solo per lui e che il papà glielo regalava. Nonostante le sue gambe fossero paralizzate da molto tempo, sollevato da terra ebbe come la sensazione che le gambe del papà fossero anche sue. Si accovacciò sul petto del padre e visse, per un istante, la gioia di essere parte viva di qualcuno.
Credo che
gioire sia un atto proprio di un incontro di persone, che hanno eliminato le distanze
del «mio» e del «tuo» e sono diventate partecipi di un «noi», stabile e definitivo.
Tutte le volte
che siamo capaci di allargare il nostro orizzonte individuale per trovarci collocati
in un universo che stringe tutte le creature, facciamo l’ esperienza della
gioia.
L’essere umano
ha una vocazione universale e aspira a diventare la parte di un tutto che lo
realizzi totalmente e perfettamente.
Da questo
nasce il moto interiore che sintetizza ogni aspirazione e che noi abbiamo chiamato
gioia. Diventiamo come il bambino del racconto che, abbracciato teneramente dal
padre, si sente parte ci quella realtà e riesce anche a vincere l’esperienza
della propria infermità.
Per cui gioia
diventa aggregazione vera, solidarietà, acquisto di una nuova personalità dove
si superano le barriere dell’individualità e ci si apre alla nuova dimensione
della comunione. Gioia è anche il vissuto di conoscere l’«oltre» del nostre
stretto recinto personale, importante ma non definitivo.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj05lHqmCtgZRFmqM3NLiFyTwBUA-reVtBsLZ5ejCE5fAt6xraIzU9nFre5nFCwyHMzcvDjnlENbxdp-FsRw5NsayKh9iCoeBF-zFpqJMAAivtsJgUSXA9Y1e_g11xhHHgZ3yPxosXN/s1600/cerchio-cartone1.jpg)
Gioia è
sentirsi solista in un coro, stella in
mezzo ad altre stelle, è partorire la vita, senza restare nella solitudine
della propria individualità.
Gioia è correre per raggiungere altri posti, è
cantare per riempire di armonia un altro cuore, è contemplare il mondo con gli
occhi dell’universo. È anche remare
insieme per approdare su altre spiagge o sapere che alla fine siamo tutti uniti
in una corale che canta le lodi di una comunione esaltante.
1 commenti:
bellissmo. Rimango convinta che la gioia, questa gioia sia scissa dal dolore; perlomeno dal dolore deglli esemp fatti nel confronto dell'altra sera; la gioia della nascita di un figlio non può essere messa in paragone col dolore fisico del parto.
Altro e' il dolore causato dalla cattiveria umana e dalla gioia che può nasciere nello sconfiggerla con l'amore.
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