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martedì 12 febbraio 2019

Il Credo … la remissione dei peccati, ... - Parte seconda


Fin qui quello che dicono il Vangelo e il Catechismo. Dopo di che arrivano le riflessioni e le domande alle quali non è detto che l’essere umano possa essere in grado di dare risposta.
La prima riflessione attiene al pentimento necessario perché i nostri peccati siano perdonati. Il peccato si materializza quando ai doveri, all’obbedienza ai comandamenti del Signore, si contrappone l’egoismo che, per il piacere personale, ci porta al peccato.
Cristo è stato chiaro: senza pentimento non ci può essere remissione. Per quanto Dio possa essere infinitamente misericordioso Egli è anche infinitamente giusto e Gesù lo ha ripetuto innumerevoli volte e in molte forme, anche violente, mostrandoci il “fuoco inestinguibile” della Geenna nel quale ti ritroverai se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio, che ti sono stati motivo di scandalo non li hai tagliati e gettati via (cfr. Marco 9, 42-48).
In effetti, all’inizio della sua predicazione, Gesù lo aveva affermato: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Marco 1,15). Due condizioni, dunque, per entrare nel “regno”. Convertitevi e credete. Oggi ci si è dimenticati di una parte di quel comandamento: “Convertitevi!”. Nessuno, nel buonismo imperante, osa ricordarlo. Scriveva Joseph Ratzinger (“In principio Dio creò il Cielo e la Terra”, 1996): “Il tema del peccato è uno dei temi su cui oggi regna un perfetto silenzio. La predicazione religiosa cerca di evitarlo accuratamente… L’uomo odierno non conosce alcuna misura, non vuole riconoscerne alcuna, perché vede in essa una minaccia alla propria libertà… Riconosciamo il male solo se lo evitiamo”.
Da qui il mondo con la sua amoralità tentatrice che lo fa assomigliare al serpente del terzo capitolo della Genesi che ci seduce affascinati dalla nostra libertà.
Prosegue il futuro Benedetto XVI descrivendo come il tentatore ci ammalia: “Non attenerti a questo Dio lontano che non ha nulla da darti; non attenerti a questa alleanza, che ti pone tanti limiti, immergiti nella corrente della vita, nella sua ebbrezza e nella sua estasi, così parteciperai personalmente alla sua realtà e alla sua immortalità”. Il peccato di Adamo, come quello di tutti i suoi eredi nasce dunque dall’allontanamento della creatura dal suo Creatore. Si noti che il serpente non nega che Dio esista, ma ci affascina con la pretesa della nostra libertà assoluta.
Per tornare in grazia di Dio serve dunque il ravvedimento, come Gesù ci ha insegnato con la parabola del figliol prodigo. Solo dopo il ravvedimento il Padre lo riaccoglie nella casa. Troppo spesso, ai giorni nostri, ci viene invece presentato un Dio misericordioso che perdona tutti, ci viene detto che l’Inferno è vuoto, ammesso che esista, ci si fa illudere, come insinuava il serpente, che siamo noi i proprietari della nostra vita. Ma non ci dice che lo siamo solo di quella terrena.
                                                      Salvatore

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