Fin qui quello che
dicono il Vangelo e il Catechismo. Dopo di che arrivano le riflessioni e le
domande alle quali non è detto che l’essere umano possa essere in grado di dare
risposta.
La prima
riflessione attiene al pentimento necessario perché i nostri peccati siano
perdonati. Il peccato si materializza quando ai doveri, all’obbedienza ai
comandamenti del Signore, si contrappone l’egoismo che, per il piacere personale,
ci porta al peccato.
Cristo è stato
chiaro: senza pentimento non ci può essere remissione. Per quanto Dio possa
essere infinitamente misericordioso Egli è anche infinitamente giusto e Gesù lo
ha ripetuto innumerevoli volte e in molte forme, anche violente, mostrandoci il
“fuoco inestinguibile” della Geenna
nel quale ti ritroverai se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio, che ti
sono stati motivo di scandalo non li hai tagliati e gettati via (cfr. Marco 9,
42-48).
In effetti, all’inizio
della sua predicazione, Gesù lo aveva affermato: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete
al Vangelo” (Marco 1,15). Due condizioni, dunque, per entrare nel “regno”. Convertitevi e credete. Oggi ci
si è dimenticati di una parte di quel comandamento: “Convertitevi!”. Nessuno, nel buonismo imperante, osa ricordarlo. Scriveva
Joseph Ratzinger (“In principio Dio creò
il Cielo e la Terra”, 1996): “Il tema
del peccato è uno dei temi su cui oggi regna un perfetto silenzio. La
predicazione religiosa cerca di evitarlo accuratamente… L’uomo odierno non
conosce alcuna misura, non vuole riconoscerne alcuna, perché vede in essa una
minaccia alla propria libertà… Riconosciamo il male solo se lo evitiamo”.
Da qui il mondo
con la sua amoralità tentatrice che lo fa assomigliare al serpente del terzo
capitolo della Genesi che ci seduce affascinati dalla nostra libertà.
Prosegue il futuro
Benedetto XVI descrivendo come il tentatore ci ammalia: “Non attenerti a questo Dio lontano che non ha nulla da darti; non attenerti
a questa alleanza, che ti pone tanti limiti, immergiti nella corrente della
vita, nella sua ebbrezza e nella sua estasi, così parteciperai personalmente
alla sua realtà e alla sua immortalità”. Il peccato di Adamo, come quello
di tutti i suoi eredi nasce dunque dall’allontanamento della creatura dal suo
Creatore. Si noti che il serpente non nega che Dio esista, ma ci affascina con
la pretesa della nostra libertà assoluta.
Per tornare in
grazia di Dio serve dunque il ravvedimento, come Gesù ci ha insegnato con la
parabola del figliol prodigo. Solo dopo il ravvedimento il Padre lo riaccoglie
nella casa. Troppo spesso, ai giorni nostri, ci viene invece presentato un Dio
misericordioso che perdona tutti, ci viene detto che l’Inferno è vuoto, ammesso
che esista, ci si fa illudere, come insinuava il serpente, che siamo noi i
proprietari della nostra vita. Ma non ci dice che lo siamo solo di quella terrena.
Salvatore
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