Introduzione
Devo scrivere una breve nota sull’origine
del Simbolo degli Apostoli e sulle motivazioni che mi hanno spinto a mettere
per iscritto quello in cui credo.
Articolo 1
Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra.
La
prima domanda che mi pongo è la più importante e la più difficile. Davvero credo
in Dio? E cosa significa credere in Dio? Ma prima di rispondere a queste
domande, ad un certo punto della mia vita, me ne sono posta un’altra, ancora
più inquietante: perché credo in Dio?
Per rispondere onestamente a me stesso ho dovuto
ricorrere alla mia formazione culturale, alla mia laurea in fisica, in altre
parole alla mia ragione. E’ grazie alle conoscenze sull’origine dell’universo
acquisite dopo la seconda guerra mondiale e culminate con la teoria del Big Bang di Georges Lemaître (1949) che ha avuto senso il pormi
la domanda delle domande: come è stato possibile, dal nulla, originare qualcosa
di concreto (“sicchè dall’invisibile ha
preso origine il mondo visibile”, Lettera agli Ebrei, 11,3), qualcosa che
espandendosi ha prodotto quello che oggi conosciamo come universo? Come tutto
ciò si sarebbe potuto generare se non ci fosse stato Qualcuno che lo ha voluto e saputo fare, e che perciò viene
definito “Onnipotente”? Gli
scienziati atei credono nel big bang
ma non si pongono la domanda di chi lo ha causato. Non sanno la risposta e,
consapevoli di ciò, trovano opportuno non porsela nemmeno.
Avere fede in Dio, è questa la mia personale
conclusione, significa credere che c’è Qualcuno
che non posso vedere con gli occhi né di cui posso immaginarne con la mente la
natura, Qualcuno che “in principio”, quindici miliardi di anni
fa, ha prodotto l’Universo creando il cielo e la terra.
All’obiezione, che tante volte ho fatto mia, che non
si può credere in Qualcuno se non lo si
può “vedere” ho risposto da tempo con
la metafora dell’orma che guardo sulla sabbia: non ho visto, né vedrò mai chi
l’ha lasciata ma so, “ho fede”, che
qualcuno da lì è passato e l’ha lasciata. Ecco perché credo in Dio. L’orma di
Dio è in tutto quello che mi circonda, nelle galassie lontane e nello
spettacolare groviglio di atomi che forma il mio cervello e mi consente di
partorire pensieri, di provare emozioni. E’ osservando tutto questo che giungo
alla stessa conclusione dell’orma sulla sabbia: c’è stato qualcuno che ha
creato tutto ciò, e perciò stesso è Onnipotente,
e continua ad esserci. Non è materiale, come lo intendiamo noi esseri materiali.
E’ tuttavia reale, in una dimensione che non è quella spaziotemporale da Lui
creata quindici miliardi di anni fa, ma che un giorno raggiungeremo quando
lasceremo la nostra natura in quattro dimensioni conservando quella,
altrettanto reale anche se invisibile, che chiamiamo la nostra anima.
Questo Qualcuno,
che noi chiamiamo Dio, coniugando il nome divus,
"splendente", e dies, "giorno", è lo stesso YHWH
del tetragramma biblico che gli ebrei si sono
sempre rifiutati di profferire ritenendolo troppo sacro per essere
pronunciato. Qualcuno che “creò il cielo
e la terra” (Genesi, 1,1) e, come Creatore, è anche “padre” che ama la sua creatura, il creato, al quale ha attribuito
tutte le leggi fisiche che lo governano. Sono loro le responsabili della
successiva evoluzione, dagli atomi scaturiti dal big bang al loro accorpamento
in cellule, poi in strutture più complesse che nei successivi milioni di anni
si riunirono fino a formare stelle, pianeti, comete.
In un tempo successivo alcune strutture elementari,
che la Bibbia chiama “polvere”,
ebbero la facoltà di unirsi e di produrre vita sviluppando, tra i tanti esseri
viventi, quell’essere straordinario formato da cellule messe assieme in modo
tale da essere in grado di pensare, esprimere con la parola i propri pensieri,
gioire della luce dell’alba, della lettura di un verso, dell’ascolto di una
musica, di ammirare l’infinito, di innamorarsi, di creare altra vita. Un essere
che il Creatore chiamò Uomo e che ha
voluto “a sua immagine e somiglianza”
(Genesi 1:26-27) perché
accanto ad una parte materiale, il corpo come tutti gli altri animali, versò
con il suo soffio anche una qualcosa di immateriale, l’anima o lo spirito che
dir si voglia. E’ in questa parte che posso identificare l’immagine e la
somiglianza con Dio che “è spirito” e
come spirito esiste senza corpo, così come esisteremo noi quando lasceremo il
nostro.
Più difficile è comprendere il perché Dio ha voluto
creare il cielo e la terra e, come recita il Credo di Nicea-Costantinopoli, “tutte le cose visibili e invisibili”. Ed
è qui che dobbiamo essere umili e affidarci alla Tradizione e ai Padri della
Chiesa trovando in essi le sole risposte convincenti. Dio ha creato tutte le
cose, “non per accrescere la propria gloria,
ma per manifestarla e per comunicarla” (San Bonaventura), e ha creato
l’Uomo per amore e bontà “aperta la mano
dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce” (San Tommaso
d’Aquino).
Nel leggere la Bibbia, parola di Dio incarnata, bisognerebbe sempre pensare che
il suo linguaggio è figlio delle conoscenze che gli uomini che la scrissero, e
anche quelli che redassero il Credo,
avevano all’epoca in cui lo fecero. A quel tempo non si conoscevano le galassie
né si sapeva che c’erano stelle e pianeti, né che c’erano i buchi neri. Allora
per indicare cosa Dio aveva creato si usò l’espressione che comprendeva le
conoscenze di allora e si scrisse “creatore
del cielo e della terra”, per indicare tutto ciò che esiste nell’universo. A
questo proposito, tuttavia, è inevitabile riconoscere la profondità di certe
parole e di certe espressioni, cosa che ci porta a “credere” in qualcosa che chi non crede non può accettare. Credere
cioè nell’ispirazione divina, un’altra cosa invisibile, immateriale, che ha
agito, nel caso specifico, nell’allineare quelle parole, cielo e terra. Il cielo, lo abbiamo scoperto da poche centinaia di
anni, in realtà non esiste. Quello che ammiriamo e che ci fa dire con il poeta
“e naufragar m’è dolce in questo mare”
è ciò che vediamo dell’insieme di pianeti, stelle e galassie, ma senza alcun
tendaggio che fa loro da sfondo, celeste di giorno, nero di notte e che in
passato abbiamo chiamato “cielo”. Mi piace pensare che tutto questo insieme di
oggetti, l’universo scaturito dal big
bang, sia invece racchiuso nella
parola “terra”. Il “cielo” è invece l’altrove, il luogo, in una dimensione diversa da quella
spaziotemporale in cui siamo immersi finchè viviamo su questa Terra, in cui si
trovano le creature spirituali. Il luogo dove Dio, puro spirito, risiede e che
invochiamo nella preghiera delle preghiere “Padre
nostro che sei nei cieli”.
Salvatore
1 commenti:
Parto dall'analisi di 4a dimensione nel mio ragionamento, ovvero il tempo, ed il primissimo collegamento che mi viene è: il tempo si può solo contare o misurare con un'unità decisa dall'uomo, però se pensiamo ch'é infinito non diventa più misurabile(l'uomo uomo ha una vita limitata, quindi NON infinita!) ed allora il secondo collegamento che mi viene é: se non è alla mia portata non posso comprenderlo BENE ? quindi deve esistere una 4a dimensione di cui percepisco limitatamente la presenza ma non appartiene alla mia vita terrena !!! non è lo stesso per i sentimenti, l'amore, l'odio, la gioia, la percezione di un "qualcosa" sopra l'uomo ????????? in DIO non c'è la percezione del tempo(4a dimensione!) quindi come posso pensare d'incontrarlo con il ragionamento ??? posso solo per FEDE accettare che esiste anche non potendolo ridurre alle sole 3dimensioni percepibili dall'uomo uomo, e sperare semplicemente d'assaporarne i benefici come accade con tanti dei sentimenti che costellano la nostra vita terrena, che NON sappiamo spiegare ma che CI SONO.
Posta un commento