DATURA
« siamo il simbolo
della docilità »
Autunno:
stagione fantasiosa, ricca di colori, di foglie variopinte che abbelliscono gli
alberi e adornano le siepi. Anche le pianure e le valli si preparano a
rivestire tonalità diverse di verde.
L’autunno è
anche il tempo dei pascoli. Dalla mia finestra osservo un gregge che si avvia
verso un campo erboso. Le pecore seguono docilmente il cane pastore, facendo
tintinnare i campanelli appesi al collo. Dietro di loro avanza, baldanzosa, una
capretta che ignora il senso dell’ordine e della disciplina: si muove a suo
piacimento. Chiude la fila un anziano pastore, appoggiato al suo bastone
nodoso. Cammina fischiettando un vecchio motivo. È felice.
Il gregge si ferma nella radura. Le pecore, tranquille, brucano l’erba fresca, sotto lo sguardo vigile e attento del cane fedele, mentre il pastore si sdraia, spensierato, all’ombra di un faggio. E la capra ? Scorribanda qua e là inseguendo le pecore e cercando mille pretesti per disturbare il loro pasto e la loro quiete.
All’improvviso
prende la rincorsa e spicca un salto in groppa ad una di esse, non certo per
fare l’equilibrista, ma per cibarsi delle foglie della datura sanguinea, un
arbusto perenne sempreverde, i cui rami sono ricchi di midollo. Le sue foglie,
invece, sono vellutate e i fiori penduli, a mo’ di campanelli.
La malcapitata
pecorella lamenta l’ invasione: « Ahi, che male, ma che modi selvaggi son
questi ? ». L’intrusa non l’ascolta nemmeno e strappa e divora le foglioline
della pianta, borbottando, sottovoce, parole incomprensibili che conosce solo
lei e, quando la pecora stanca del suo peso e impedita di brucare l’erba tenta
di scrollarsela di dosso, essa le morde un orecchio per vendicarsi. Continua il
suo pasto, vorace, ed ora punta ai teneri fiori che, docilmente, accettano di
lasciarsi fagocitare da quell’ animale rozzo ma, non appena ne sfiora uno,
tutti si mettono a scampanellare all’unisono.
A quel suono,
tutto il gregge si muove, facendo squillare i tanti campanelli, mentre il cane
accorre digrignando i denti. Sopraggiunge anche il pastore che ,intima
all’indocile bestiola, di arrendersi.
Confusa e umiliata essa si lascia legare all’arbusto della datura, ma i fiorellini
intercedono per lei:
« Noi siamo il
simbolo della docilità. La nostra forma, simile a una campana, è come l’eco
della voce del cielo che chiama all’obbedienza. Pensiamo noi ad insegnarle la
virtù dell’arrendevolezza ».
Quando il gregge
abbandona la valle, quella capretta cammina con compostezza accanto al pastore,
dietro alle pecore, felice di aver iniziato a fare l’esperienza della
sottomissione.
Inco
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