Da tempo, da troppo
tempo, gran parte dell’umanità ha deciso di vivere senza Dio. In principio fu
la Rivoluzione francese, poi l’Illuminismo, poi tutti gli –ismi che,
utilizzando la libertà che il Creatore ha dato alle sue creature, hanno invitato
a pensare al proprio io senza Dio. E’ stata abbandonata la dimensione
religiosa in favore della razionalità tecnologica abilmente truccata di ragione
e scienza. Questa scelta ha un’unica conseguenza, che chi la fa finge di non
vedere: chi la fa accetta che la vita dell’uomo è simile a quella di ogni altro
essere vivente, mosche e amebe comprese. Come tutti gli animali, non essendoci
l’anima, non c’è nulla oltre la morte fisica, non c’è da preoccuparsi del “dopo”,
di chi “di là verrà a giudicare i
vivi e i morti”. Viviamo meglio possibile… di doman (non) c’è certezza, non
c’è nulla di cui preoccuparsi.
Come nella parabola del figliol prodigo,
il Padre non interferisce sul figlio che ha deciso di abbandonarlo, avendo
semplicemente deciso che non esiste. Eppure Egli, pazientemente, attende comunque
il suo ritorno da pentito.
Cristo ha dato l’incarico alla sua Chiesa,
a cominciare dai suoi discepoli, di andare nel mondo ad evangelizzare,
diventando pescatori di uomini da convertire affinchè credano nel Vangelo: “Andate
in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e
sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (Marco 16,
15-16). Pietro, in casa di Cornelio a Cesarea, proclama: "ci ha ordinato di annunziare al popolo e di
testimoniare che egli (il Cristo) è
il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio" (At 10,42). E San
Paolo raccomandava a san Timoteo “Ti
scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti,
… annunzia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci,
rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno,
infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire
qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci,
rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole” (2
Tm 4, 1-4).
Quel giorno, profetizzato da san Paolo
duemila anni fa, si realizza tutte le volte che la Chiesa, illudendosi di poter
sopravvivere rendendosi più amichevole, attraente, dialogante,
accogliente e, al tempo stesso, meno arcigna e dottrinale, dimentica
di annunciare il Vangelo interessandosi di ciò che è umano, di filantropia,
ambientalismo, di accoglienza, ma non del suo primo dovere, quello di provare a
salvare le anime che Gesù le ha affidato e che sono attese dal giudizio finale,
da quel “giudicare i vivi e morti”
che nel Credo di Nicea-Costantinopoli è preceduto da “nella gloria” e seguito da “e
il suo regno non avrà fine”.
La gloria è quella dell’Ascensione, quando
il Figlio di Dio ha portato al Padre la nostra umanità da Lui assunta. Così
facendo anticipa l’intenzione di attirare a sé l’intera umanità affinchè possa
essere consegnata al Padre anche se “molti
sono i chiamati, pochi gli eletti”. E il giudizio finale è eterno, come
viene sintetizzato nell’espressione “il
suo regno non avrà fine” e che, ne sono convinto, si riferisce
individualmente a ciascuno di noi, alla fine della nostra individuale vita
terrena.
Salvatore
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