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Articolo 2
Credo allora, basandomi
sulle testimonianza di chi lo ha incontrato e seguito, che quel bambino, nato a
Betlemme al tempo di re Erode il Grande e dell’imperatore Cesare Augusto, sia
la manifestazione materiale dell’essere trascendente che chiamiamo Dio,
creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili.
Quelle visibili, tutto ciò che possiamo toccare con mano, misurare, dimostrare
con metodi scientifici, e quelle invisibili, che non possiamo percepire con i
nostri sensi ma che crediamo che devono esistere, altrimenti non potremmo
spiegare la Creazione.
Quella “manifestazione materiale” fu chiamata
Gesù Cristo che è Dio, il Verbo, fatto carne. Come l’uomo riproduce se stesso
in un altro uomo, suo figlio, così Dio, essere invisibile e immateriale, ha
“riprodotto” materialmente se stesso nel suo “unico Figlio”. E, come ha detto san Giovanni della Croce (Juan de
Yepes Álvarez, 1542-1591), “dal momento
in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva parola, Dio
ci ha detto tutto in una sola volta in questa Sua Parola e non ha più nulla da
dire”. Il Figlio di Dio fatto uomo è la sua Rivelazione, “la sua unica e definitiva parola”, che
la Chiesa è tenuta a conservare, depositum
fidei, deposito della fede. A nessuno è concesso di metterla in discussione
o di interpretarla in maniera difforme da come suo Figlio l’ha enunciata.
Gesù Cristo è,
quindi, il centro di tutto. Senza la sua esistenza terrena, con tutto quello
che ha detto e con tutto quello che ha fatto, la nostra fede crollerebbe. Lo
disse esplicitamente san Giovanni Paolo II nell’esortazione Ecclesia in Europa: “La predicazione della Chiesa..., in tutte le sue forme, deve essere
sempre più incentrata sulla persona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui” …
"Occorre vigilare perché Egli sia
presentato nella sua integralità" perchè presentare Cristo nella sua
integralità significa presentarlo "non
solo come modello etico, ma, innanzitutto, come il Figlio di Dio", “come l'unico e necessario Salvatore di
tutti".
Gesù significa,
infatti, “Dio che salva”, e “non vi è altro Nome dato agli uomini sotto
il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti degli
Apostoli 4,12). Cristo è, invece, il termine greco che traduce l’ebraico māšīāḥ, “Messia”, “Re Unto” del Signore. Per un cristiano Gesù Cristo è “Figlio di Dio” e Dio lui stesso, come
viene precisato nel Credo di Nicea-Costantinopoli quando si afferma che il
Figlio è “nato dal Padre prima di tutti i
secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. Perciò chi crede
in questo non può non riconoscere che Gesù Cristo è anche nostro Signore, l’altro attributo contenuto nel
secondo articolo del Credo.
Tutto ciò è il
cuore del Cristianesimo, ma è anche lo scandalo del cristianesimo. Credere,
cioè, che quell’uomo, Gesù, morto in croce verso l’anno 30, è anche Cristo,
l’unto di Dio, anzi Figlio di Dio, Dio stesso, l’essere, il Logos, il Verbo che
si è fatto carne. Che sia entrato nella storia dell’uomo abbinando parola a
carne, fede a storia, è “autentico
scandalo per il pensiero umano”, come ebbe a definirlo papa Benedetto XVI
(Joseph Ratzinger – Introduzione al
Cristianesimo, ed. Queriniana), cui sono devoto debitore di molto del mio
credere. Scandalo che ha prodotto non soltanto la frattura tra cristiani e non cristiani, ma anche i
numerosi scismi cui hanno sofferto gli stessi cristiani con le centinaia di
confessioni scaturite in tanti secoli come conseguenza delle diverse
interpretazioni della Parola. D’altra parte lo ha detto Lui stesso “Non pensate che io sia venuto a mettere
pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono
venuto a dividere il figlio da suo padre…”. (Matteo 10,34-35). E’ questa,
in particolare, la millenaria frattura con i fratelli di fede ebraica. Entrambi
crediamo nello stesso Dio, ma l’ebraismo non accetta che Cristo sia figlio di
Dio e per di più Dio stesso.
L’uomo
può dunque riconoscere l’uomo Gesù, figura storica, tangibile, ma “stenta a riconoscere il suo essere Cristo”,
cioè la sua divinità. E invece l’uomo Gesù non esiste senza l’essere anche il
Cristo. Ci sono persone che indichiamo anteponendo al nome la loro funzione,
re, presidenti, santi, papi. Diciamo papa Francesco per indicare l’uomo
Francesco anteponendogli la funzione di Papa. In effetti, nei primi tempi, si
diceva Cristo Gesù indicando la funzione, l’Unto di Dio, prima dell’Uomo di
Nazaret. Poi, col tempo, Cristo è divenuto parte del nome rendendo nome e
funzione indistinguibili. Sempre Ratzinger conclude “qui non c’è un Io che dice parole (come succede per noi), ma egli si è
identificato con la sua parola a tal punto che Io e parola non si distinguono
più uno dall’altra: egli è il Verbo, la Parola”. Solo così ho potuto
finalmente comprendere il significato dell’inizio del Vangelo di san Giovanni e
l’affermazione di san Paolo (2 Corinzi 5,16): “E anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo
conosciamo più così”.
Per
questo chi conobbe Cristo, gli apostoli, i primi discepoli, furono presi dal
desiderio irrefrenabile di annunciarlo come Cristo e come Signore. “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo
udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo
contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della
vita … noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione
con noi. … Questo è il messaggio che abbiamo udito da Lui e che ora vi
annunziamo”
(Prima Lettera di San Giovanni, 1,1-5).
E l’annuncio di
ciò che videro e di ciò che seppero da Lui costituisce quello che da due
millenni viene chiamato “evangelizzazione”,
la missione che Gesù stesso affidò ai suoi discepoli prima di ritornare in
cielo: “ Andate per tutto il mondo,
predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato
battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” (Marco,
16,15). All’uomo è lasciata la libertà di credere o di non credere. Alla Chiesa
il dovere di continuare a predicare il Vangelo, conservando il depositum fidei così come ce lo ha
trasmesso Cristo e di non tradire quel messaggio, adattandolo ai tempi, perché
è un messaggio fuori dal tempo.
La fede è un dono
che Qualcuno ci ispira. Non è la
semplice accettazione di un sistema di regole, quello che definiamo
religiosità. Si può essere religiosi senza avere realmente fede. A volte
evitiamo persino di domandarci se l’abbiamo davvero, mentre ci può essere
comodo apparire religiosi. Ma anche noi, nel nostro intimo, nella nostra
coscienza, come lo furono i dodici apostoli, siamo chiamati a rispondere alla
sua domanda: “Voi chi dite che io sia?”.
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, rispose Pietro. Con la sola ragione,
con il nostro essere solo carne e sangue non è possibile riconoscere in un
figlio di uomini il Figlio di Dio. Solo con il dono della fede, che ci
viene proposta dalla nostra anima e che umilmente facciamo nostra, è possibile
accogliere pienamente Gesù Cristo, un Uomo
che è Parola, “Parola in quanto persona, persona in quanto Parola”.
Salvatore
Salvatore
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