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sabato 8 aprile 2017

Il credo - E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore.


Articolo 2

Se con la mia mente sono giunto a credere che c’è un Dio Creatore e che l’uomo è stato da Lui creato a sua immagine e somiglianza non mi è stato difficile compiere il passo successivo: credere nell’amore di Dio per la sua creatura. E non mi è quindi difficile credere che per amore della sua creatura il Creatore abbia inteso rivelarsi all’uomo. Lo ha fatto nel corso dei secoli, dapprima tramite i suoi profeti, da Lui in qualche modo ispirati, e finalmente da se medesimo, da quello che abbiamo chiamato Verbo e che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Appunto per farsi conoscere. Perché, come recitava il Catechismo di una volta, dobbiamo prima conoscere per amare e quindi servire. Se con la sola ragione, infatti, è possibile riconoscere l’esistenza di un Dio, c’è bisogno della sua stessa Rivelazione per illuminare l’oscurità dei dubbi che la ragione ci pone.
Credo allora, basandomi sulle testimonianza di chi lo ha incontrato e seguito, che quel bambino, nato a Betlemme al tempo di re Erode il Grande e dell’imperatore Cesare Augusto, sia la manifestazione materiale dell’essere trascendente che chiamiamo Dio, creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili. Quelle visibili, tutto ciò che possiamo toccare con mano, misurare, dimostrare con metodi scientifici, e quelle invisibili, che non possiamo percepire con i nostri sensi ma che crediamo che devono esistere, altrimenti non potremmo spiegare la Creazione.

Quella “manifestazione materiale” fu chiamata Gesù Cristo che è Dio, il Verbo, fatto carne. Come l’uomo riproduce se stesso in un altro uomo, suo figlio, così Dio, essere invisibile e immateriale, ha “riprodotto” materialmente se stesso nel suo “unico Figlio”. E, come ha detto san Giovanni della Croce (Juan de Yepes Álvarez, 1542-1591), “dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva parola, Dio ci ha detto tutto in una sola volta in questa Sua Parola e non ha più nulla da dire”. Il Figlio di Dio fatto uomo è la sua Rivelazione, “la sua unica e definitiva parola”, che la Chiesa è tenuta a conservare, depositum fidei, deposito della fede. A nessuno è concesso di metterla in discussione o di interpretarla in maniera difforme da come suo Figlio l’ha enunciata.
Gesù Cristo è, quindi, il centro di tutto. Senza la sua esistenza terrena, con tutto quello che ha detto e con tutto quello che ha fatto, la nostra fede crollerebbe. Lo disse esplicitamente san Giovanni Paolo II nell’esortazione Ecclesia in Europa: “La predicazione della Chiesa..., in tutte le sue forme, deve essere sempre più incentrata sulla persona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui” … "Occorre vigilare perché Egli sia presentato nella sua integralità" perchè presentare Cristo nella sua integralità significa presentarlo "non solo come modello etico, ma, innanzitutto, come il Figlio di Dio", “come l'unico e necessario Salvatore di tutti".
Gesù significa, infatti, “Dio che salva”, e “non vi è altro Nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti degli Apostoli 4,12). Cristo è, invece, il termine greco che traduce l’ebraico māšīāḥ,Messia”, “Re Unto” del Signore. Per un cristiano Gesù Cristo è “Figlio di Dio” e Dio lui stesso, come viene precisato nel Credo di Nicea-Costantinopoli quando si afferma che il Figlio è “nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. Perciò chi crede in questo non può non riconoscere che Gesù Cristo è anche nostro Signore, l’altro attributo contenuto nel secondo articolo del Credo.
Tutto ciò è il cuore del Cristianesimo, ma è anche lo scandalo del cristianesimo. Credere, cioè, che quell’uomo, Gesù, morto in croce verso l’anno 30, è anche Cristo, l’unto di Dio, anzi Figlio di Dio, Dio stesso, l’essere, il Logos, il Verbo che si è fatto carne. Che sia entrato nella storia dell’uomo abbinando parola a carne, fede a storia, è “autentico scandalo per il pensiero umano”, come ebbe a definirlo papa Benedetto XVI (Joseph Ratzinger – Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana), cui sono devoto debitore di molto del mio credere. Scandalo che ha prodotto non soltanto la frattura tra  cristiani e non cristiani, ma anche i numerosi scismi cui hanno sofferto gli stessi cristiani con le centinaia di confessioni scaturite in tanti secoli come conseguenza delle diverse interpretazioni della Parola. D’altra parte lo ha detto Lui stesso “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre…”. (Matteo 10,34-35). E’ questa, in particolare, la millenaria frattura con i fratelli di fede ebraica. Entrambi crediamo nello stesso Dio, ma l’ebraismo non accetta che Cristo sia figlio di Dio e per di più Dio stesso.
L’uomo può dunque riconoscere l’uomo Gesù, figura storica, tangibile, ma “stenta a riconoscere il suo essere Cristo”, cioè la sua divinità. E invece l’uomo Gesù non esiste senza l’essere anche il Cristo. Ci sono persone che indichiamo anteponendo al nome la loro funzione, re, presidenti, santi, papi. Diciamo papa Francesco per indicare l’uomo Francesco anteponendogli la funzione di Papa. In effetti, nei primi tempi, si diceva Cristo Gesù indicando la funzione, l’Unto di Dio, prima dell’Uomo di Nazaret. Poi, col tempo, Cristo è divenuto parte del nome rendendo nome e funzione indistinguibili. Sempre Ratzinger conclude “qui non c’è un Io che dice parole (come succede per noi), ma egli si è identificato con la sua parola a tal punto che Io e parola non si distinguono più uno dall’altra: egli è il Verbo, la Parola”. Solo così ho potuto finalmente comprendere il significato dell’inizio del Vangelo di san Giovanni e l’affermazione di san Paolo (2 Corinzi 5,16): “E anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così”.
Per questo chi conobbe Cristo, gli apostoli, i primi discepoli, furono presi dal desiderio irrefrenabile di annunciarlo come Cristo e come Signore. “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. …  Questo è il messaggio che abbiamo udito da Lui e che ora vi annunziamo” (Prima Lettera di San Giovanni, 1,1-5).
E l’annuncio di ciò che videro e di ciò che seppero da Lui costituisce quello che da due millenni viene chiamato “evangelizzazione”, la missione che Gesù stesso affidò ai suoi discepoli prima di ritornare in cielo: “ Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” (Marco, 16,15). All’uomo è lasciata la libertà di credere o di non credere. Alla Chiesa il dovere di continuare a predicare il Vangelo, conservando il depositum fidei così come ce lo ha trasmesso Cristo e di non tradire quel messaggio, adattandolo ai tempi, perché è un messaggio fuori dal tempo.
La fede è un dono che Qualcuno ci ispira. Non è la semplice accettazione di un sistema di regole, quello che definiamo religiosità. Si può essere religiosi senza avere realmente fede. A volte evitiamo persino di domandarci se l’abbiamo davvero, mentre ci può essere comodo apparire religiosi. Ma anche noi, nel nostro intimo, nella nostra coscienza, come lo furono i dodici apostoli, siamo chiamati a rispondere alla sua domanda: “Voi chi dite che io sia?”. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, rispose Pietro. Con la sola ragione, con il nostro essere solo carne e sangue non è possibile riconoscere in un figlio di uomini il Figlio di Dio. Solo con il dono della fede, che ci viene proposta dalla nostra anima e che umilmente facciamo nostra, è possibile accogliere pienamente Gesù Cristo, un Uomo che è Parola, “Parola in quanto persona, persona in quanto Parola”.

                                                                Salvatore



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