Il problema principale nel parlare di vita
eterna è quello di non sapere, per nostra impotenza esplicativa, immaginarla
altro che per analogia con la vita terrena, cioè con immagini spazio-temporali,
caratteristici dell’aldiquà. Immagini
che sono inconciliabili con i concetti di eternità, opposta al tempo, e di infinito,
in riferimento allo spazio. Eternità ed infinito sono infatti le dimensioni a
noi ignote dell’aldilà che, alla
nostra capacità intellettiva, ci risultano incomprensibili.
C’è poi un secondo conflitto che da millenni
ha impegnato il pensiero umano: l’apparente distinzione tra corpo e anima. La
visione escatologica dell’oltrevita da parte della filosofia greca (Platone nel
suo Fedone, per esempio) era basata
sulla trascendenza dell’anima, separata, slegata dalla materialità del corpo. Anima
immortale distinta dalla carne materiale e perciò stesso finita. Quella
ebraico-cristiana, invece, assume nella creatura umana un’intima connessione
tra anima e corpo tanto da proclamare la resurrezione della carne legata
tutt’uno all’anima. Corporeità e spiritualità si ritroveranno unite in un
edificio che è opera di Dio, come affermava sal Paolo: “quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda,
riceveremo da Dio un’abitazione, una
dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli” (Seconda lettera ai Corinzi 5,1). La “creatura” umana, dunque, complesso
inscindibile di anima e corpo, con la morte di questo viene trasformata e trasferita
in un aldilà in cui non esistono spazio
e tempo, dove non c’è prima e dopo, dove non c’è qui o là. C’è solo un istante
unico, eterno, senza passato e senza futuro, solo presente, nel quale la
creatura è trasfigurata, giudicata, salvata o condannata. Come questo si
realizzi, oserei dire si materializzi sebbene parliamo di trascendenza, non ci
è dato sapere.
Ancora una volta è la Resurrezione di
Cristo, centro del nostro essere cristiani, che certifica tutto questo, ponendo
un seme di divinità e di eternità nella corporeità e nella temporalità di ogni
essere umano. Nel descrivere questa trasfigurazione, san Paolo ricorre a
paragoni ovviamente naturali concludendo che l’essere umano “è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità;
è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza,
risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale”
(Prima lettera ai Corinzi 15, 42-44).
Una precedente versione della Bibbia parlava di corpo psichico, corruttibile, associato in vita all’anima, che diveniva
corpo pneumatico, cioè pervaso dallo Pneuma, lo Spirito Santo. Corpo e anima
sono un tutt’uno. Corpo spirituale non è più un ossimoro.
Nel Vangelo di Giovanni la vita eterna è
infatti sinonimo di vita divina in comunione con Dio perchè “Dio sia tutto in tutti” (ibidem, 15,28).
La morte fisica è, dunque, un andare verso il Creatore, con Cristo giudice, in
comunione perpetua con Lui. E’ questa la grande “speranza” che il cristiano ha avendo avuto “fede” in Cristo, nella sua Resurrezione e in quella sua frase,
rivolta ad ognuno di noi “oggi con me sarai
nel paradiso" (Luca 23, 42-43).
Il celebre pianista Glenn Gould, un genio,
un giorno disse: “Per tutta la vita ho
creduto intensamente nell’esistenza dell’aldilà. La trasformazione dello
spirito è un fenomeno che non possiamo ignorare ed è in base ad esso che
dovremmo basare la nostra vita. E’ per questo che non condivido le filosofie
dell’hic et nunc. D’altro canto non ho nessuna immagine oggettiva su cui
fondare l’aldilà. Riconosco che è forte la tentazione di formulare una teoria
consolatoria della vita eterna che ci faccia accettare l’ineluttabilità della
morte. Intuitivamente sento che tutto ciò è vero. Non mi sono mai sforzato per
convincermi della probabilità di una vita oltre la morte. Mi sembra
infinitamente più plausibile del contrario, cioè il nulla e l’oblio”.
Non c’è alcun riferimento “cristiano” nelle sue
parole, ma quel genio ha intuito esserci una “trasformazione dello spirito” e che su questa
certezza dovremmo “basare la nostra vita”, come la Chiesa
dovrebbe insegnarci ogni giorno annunciando il Vangelo. Per chi crede in Dio
creatore, nel Cristo salvatore dell’umanità con la sua morte e con la sua
Resurrezione, quanto dovrebbe essere più semplice accettare l’intuizione di
Gould come pure il pensiero di Albert Einstein che confessava “Chiunque sia
seriamente coinvolto nella ricerca scientifica, si convince che le leggi della
natura manifestino l'esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello
dell'uomo e davanti al quale noi, con i nostri modesti poteri, ci dobbiamo
sentire umili", aggiungendo "La
mia religiosità consiste in un'umile ammirazione dello spirito infinitamente
superiore che rivela se stesso nei lievi dettagli che siamo in grado di
percepire con le nostre fragili e deboli menti. Questa convinzione
profondamente emozionante della presenza di un potere ragionante superiore,
rivelato nell'universo incomprensibile, costituisce la mia idea di Dio”.
Colpisce quel suo “ci dobbiamo sentire
umili" e la sua “umile ammirazione” quanto diversa, detto da una mente
geniale, dall’arroganza di chi non crede e disprezza chi invece lo fa.
Ora che siamo giunti alla fine dei dodici articoli del Simbolo degli
Apostoli, ce n’è abbastanza, partendo dalle parole iniziali, quel personale “Io credo”, per concludere con un
altrettanto personale “amen” finale,
quella stessa parola pronunciata il 2 aprile 2005, con grande sforzo, dal Santo
Padre Giovanni Paolo II un istante prima di morire.
E così sia.
Salvatore