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giovedì 8 agosto 2019

Ritorna la vita


C’era una casetta su, in cima alla montagna, immersa nel silenzio profondo. Era sorta lassù.
Un tempo fu abitata da persone benestanti e, poi, abbandonata perché quella solitudine e quel silenzio non erano più un vantaggio per loro.
La casa fece l’esperienza dell’abbandono e del vuoto. Viveva solitaria e triste pur sotto lo sguardo del cielo che la vegliava dall’alto: di giorno con il suo sole e di notte con la sua luna e le stelle. Non le mancava nulla per essere felice, solo il calore della famiglia che l’aveva abitata e poi … trovando di meglio, l’aveva lasciata. Il cielo divenne distante, troppo distante. E le pietre incominciarono a sgretolarsi.
Un giorno, una giovane coppia priva di ogni risorsa, che cercava dimora e aveva come anelito di vivere nel silenzio, sostò tra le sue mura. Solo i poveri hanno occhi per vedere le ricchezze che i ricchi abbandonano.
Quanta pace regnò in quel luogo!
L’amore, poi, compì il miracolo. Trascorso un anno si udirono dei primi vagiti: era nato un bimbo e quella dolce dimora si riempì di gioia.
Ora, la piccola casa sorride felice, mentre racconta alla montagna i suoi intimi segreti: tra questi la felicità di due poveri cui fu donata la ricchezza della vita.
Ti prego ...

Mio grande Signore,
ti guardo da quaggiù
e penso che, se anche mi trovassi
sulla cima più elevata di un’altura,
il cielo mi apparirebbe distante,
sempre tanto distante e irraggiungibile.
Mi sentirei solo senza di Te.
I miei occhi non riuscirebbero
ad aguzzare la vista,
onde spingersi
a penetrare le nubi,
per valicare la soglia dell’infinito.
Dove posso incontrarti,
Dio dell’immensità?
Come posso sentirti
vicinissimo a me?
È per questo che
ti sei costruito una casa
sul monte del mio cuore,
dove vieni a visitarmi
e dove già dimori?
La tua presenza è festa per me,
è gioia senza fine,
è sorpresa inaspettata,
è luce che dona alla mia vita
la certezza del tuo Cielo.

martedì 6 agosto 2019

Il Credo ... la vita eterna.


Il problema principale nel parlare di vita eterna è quello di non sapere, per nostra impotenza esplicativa, immaginarla altro che per analogia con la vita terrena, cioè con immagini spazio-temporali, caratteristici dell’aldiquà. Immagini che sono inconciliabili con i concetti di eternità, opposta al tempo, e di infinito, in riferimento allo spazio. Eternità ed infinito sono infatti le dimensioni a noi ignote dell’aldilà che, alla nostra capacità intellettiva, ci risultano incomprensibili.
C’è poi un secondo conflitto che da millenni ha impegnato il pensiero umano: l’apparente distinzione tra corpo e anima. La visione escatologica dell’oltrevita da parte della filosofia greca (Platone nel suo Fedone, per esempio) era basata sulla trascendenza dell’anima, separata, slegata dalla materialità del corpo. Anima immortale distinta dalla carne materiale e perciò stesso finita. Quella ebraico-cristiana, invece, assume nella creatura umana un’intima connessione tra anima e corpo tanto da proclamare la resurrezione della carne legata tutt’uno all’anima. Corporeità e spiritualità si ritroveranno unite in un edificio che è opera di Dio, come affermava sal Paolo: “quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli” (Seconda lettera ai Corinzi 5,1). La “creatura” umana, dunque, complesso inscindibile di anima e corpo, con la morte di questo viene trasformata e trasferita in un aldilà in cui non esistono spazio e tempo, dove non c’è prima e dopo, dove non c’è qui o là. C’è solo un istante unico, eterno, senza passato e senza futuro, solo presente, nel quale la creatura è trasfigurata, giudicata, salvata o condannata. Come questo si realizzi, oserei dire si materializzi sebbene parliamo di trascendenza, non ci è dato sapere.
Ancora una volta è la Resurrezione di Cristo, centro del nostro essere cristiani, che certifica tutto questo, ponendo un seme di divinità e di eternità nella corporeità e nella temporalità di ogni essere umano. Nel descrivere questa trasfigurazione, san Paolo ricorre a paragoni ovviamente naturali concludendo che l’essere umano “è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale” (Prima lettera ai Corinzi 15, 42-44). Una precedente versione della Bibbia parlava di corpo psichico, corruttibile, associato in vita all’anima, che diveniva corpo pneumatico, cioè pervaso dallo Pneuma, lo Spirito Santo. Corpo e anima sono un tutt’uno. Corpo spirituale non è più un ossimoro.
Nel Vangelo di Giovanni la vita eterna è infatti sinonimo di vita divina in comunione con Dio perchè “Dio sia tutto in tutti” (ibidem, 15,28). La morte fisica è, dunque, un andare verso il Creatore, con Cristo giudice, in comunione perpetua con Lui. E’ questa la grande “speranza” che il cristiano ha avendo avuto “fede” in Cristo, nella sua Resurrezione e in quella sua frase, rivolta ad ognuno di noi “oggi con me sarai nel paradiso" (Luca 23, 42-43).
Il celebre pianista Glenn Gould, un genio, un giorno disse: “Per tutta la vita ho creduto intensamente nell’esistenza dell’aldilà. La trasformazione dello spirito è un fenomeno che non possiamo ignorare ed è in base ad esso che dovremmo basare la nostra vita. E’ per questo che non condivido le filosofie dell’hic et nunc. D’altro canto non ho nessuna immagine oggettiva su cui fondare l’aldilà. Riconosco che è forte la tentazione di formulare una teoria consolatoria della vita eterna che ci faccia accettare l’ineluttabilità della morte. Intuitivamente sento che tutto ciò è vero. Non mi sono mai sforzato per convincermi della probabilità di una vita oltre la morte. Mi sembra infinitamente più plausibile del contrario, cioè il nulla e l’oblio”.
Non c’è alcun riferimento “cristiano” nelle sue parole, ma quel genio ha intuito esserci una “trasformazione dello spirito” e che su questa certezza dovremmo “basare la nostra vita”, come la Chiesa dovrebbe insegnarci ogni giorno annunciando il Vangelo. Per chi crede in Dio creatore, nel Cristo salvatore dell’umanità con la sua morte e con la sua Resurrezione, quanto dovrebbe essere più semplice accettare l’intuizione di Gould come pure il pensiero di Albert Einstein che confessava Chiunque sia seriamente coinvolto nella ricerca scientifica, si convince che le leggi della natura manifestino l'esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell'uomo e davanti al quale noi, con i nostri modesti poteri, ci dobbiamo sentire umili", aggiungendo "La mia religiosità consiste in un'umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei lievi dettagli che siamo in grado di percepire con le nostre fragili e deboli menti. Questa convinzione profondamente emozionante della presenza di un potere ragionante superiore, rivelato nell'universo incomprensibile, costituisce la mia idea di Dio”. Colpisce quel suo “ci dobbiamo sentire umili" e la sua “umile ammirazione” quanto diversa, detto da una mente geniale, dall’arroganza di chi non crede e disprezza chi invece lo fa.
Ora che siamo giunti alla fine dei dodici articoli del Simbolo degli Apostoli, ce n’è abbastanza, partendo dalle parole iniziali, quel personale “Io credo”, per concludere con un altrettanto personale “amen” finale, quella stessa parola pronunciata il 2 aprile 2005, con grande sforzo, dal Santo Padre Giovanni Paolo II un istante prima di morire.
E così sia.
                                                         Salvatore