Quando Pietro venne
interrogato da Gesù con la terribile domanda “Volete
andarvene anche voi?” (Gv 6,67) la risposta che diede è in perfetta
consonanza con il significato che la fede biblica dà al verbo credere, nel senso di aver fiducia. Dice
san Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu
hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il
Santo di Dio” (Gv 6,68-69). Con questa risposta riconosceva
che prima si deve aver fiducia (credere in ebraico è reso dal verbo aman, aver fiducia, da cui il nostro amen). Prima viene la Fede, per grazia
di Dio o, se vogliamo, per ispirazione dello Spirito Santo. Poi viene la
conoscenza in ciò che colui che ci ha ispirato fiducia ci dice, anche se in
certi casi è difficile, se non impossibile, comprenderlo. Conoscenza infatti non
necessariamente implica comprensione anche perché la conoscenza di ciò che è
trascendente viene necessariamente resa con parole del nostro vocabolario umano
che non sono certamente in grado di esprimere concetti che solamente umani non
sono.
Questa premessa è
d’obbligo per accettare quanto ci dicono gli ultimi due articoli di fede senza
che il maldestro tentativo di illustrarli utilizzando concetti “terreni” ci porti a ridicolizzarli
rendendoli chiaramente assurdi. Pensare infatti alla “risurrezione della carne”, e peggio ancora la versione “risurrezione dei morti” del Credo niceno-costantinopolitano,
visualizzando tombe che si scoperchiano e scheletri che fuoriescono dai loculi
in cui giacevano è cosa degna al più di un film horror, come pure è
inaccettabile ipotizzare che la “risurrezione
della carne” equivalga alla ricomparsa, nella vita ultraterrena, delle
molecole fisiche di cui il nostro corpo era costituito. E poi quali? Quelle di
quando siamo morti o anche quelle che abbiamo “indossato” durante la nostra più o meno lunga vita?
No, chiaramente non
dobbiamo lasciarci ingannare da queste interpretazioni, non è questo il senso di
molte delle affermazioni del Credo, tra cui le ultime due, rese con il nostro
povero vocabolario. C’è molto di più e di assai più profondo.
Siamo di fronte a quello che viene definito
“mistero”. E per tentare di ragionare
su quello della risurrezione della carne, dobbiamo partire dalla Risurrezione per antonomasia che, non
per niente, è chiamato il “Primo mistero
glorioso”, quella del Cristo Gesù, rivelazione di Dio all’uomo. Ricordiamo
quanto in proposito ha avvertito san Paolo: «"Se
Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la
nostra fede" (1Cor 15, 14). Quella Risurrezione non fu infatti la rianimazione di un cadavere ma la
trasfigurazione del corpo mortale di Gesù, di cui la Sacra Sindone è la traccia,
in un nuovo corpo, vivente per l’eternità “in
Dio”. Per secoli la fede di Israele credeva che Abramo, Elia e i grandi
profeti erano “viventi in Dio”. E Gesù
ce lo aveva confermato “Dio non è Dio dei
morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui” (Lc 20,38).
Salvatore
Salvatore
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