La morte è dunque il passaggio da questo mondo alla vita in
Dio. E’ valso per Cristo: “il suo volto
risplendette come il sole” (Mt 17,2) e per coloro che meritano quello che
noi chiamiamo Paradiso, un non luogo dove “i
giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13,43).
Corpi mortali trasfigurati in corpi gloriosi: “La nostra patria invece è nei cieli e di là
aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il
nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere
che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,21). Così l’immortalità
non è promessa per l’anima separata dal corpo, come presente nei filosofi
greci, è invece promessa a tutto l’essere umano che ha in sorte la riprovazione
o la beatitudine a seconda se si è comportato da gramigna o da buon grano.
Ed è qui che comincia ad intravvedersi il vero significato delle
parole “risurrezione della carne”
come “estensione agli uomini della
resurrezione stessa di Cristo”. Tutto quello che noi consideriamo “la nostra vita”, la nostra persona nella
sua globalità immateriale, il nostro io che
già avvertiamo esistere in questo mondo e che non corrisponde alle molecole
materiali bensì al nostro “essere”
più profondo, alla nostra “anima”. “Immortalità della persona, dell’unica realtà
uomo… dall’azione salvante di colui
che ci ama e ha il potere di fare questo” (Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, pag.
340). Tutto ciò, la nostra carnalità, viene mantenuto, rivestito di
incorruttibilità essendo immateriale, trasfigurato in una nuova condizione
della nostra umanità. E in questo non luogo che chiamiamo paradiso, in Dio,
ritroveremo tutti gli altri “esseri”
che abbiamo conosciuto, anch’essi trasfigurati, uniti a noi e in Dio.
Quando ciò avviene? Credo fortemente che quando si parla di
“ultimi giorni” o di fine della storia ci si riferisca ai nostri ultimi giorni.
Non c’è separazione tra anima e corpo, con quest’ultimo che dovrà attendere la
fine dei giorni per riunirsi all’anima. Mi conforta quanto afferma Benedetto
XVI (Introduzione al Cristianesimo,
pag. 343): “risurrezione: il suo
contenuto essenziale non è l’idea di una restituzione dei corpi alle relative
anime dopo un lungo intervallo di tempo; il preciso scopo è invece di dire agli
uomini che essi, personalmente, continueranno a vivere… l’essenziale dell’uomo,
la persona, rimane; ciò che è maturato in questa esistenza terrena, fatta di
spiritualità corporea e di corporeità permeata dallo spirito, continua in
maniera diversa”. Continua, senza interruzione.
E’ a questo punto delle nostre meditazioni che, nel
tentativo di renderci conto del mistero, dobbiamo fermarci e riflettere. Non stiamo
ragionando di fatti terreni, di qualcosa di dimostrabile con le nostre regole e
con le nostre leggi fisiche che sono valide per un mondo in tre dimensioni spaziali
e nel quale la quarta, il tempo, scorre sempre in avanti. Non dobbiamo, perché
non possiamo, avere la pretesa di poter dimostrare alcunché. Stiamo infatti
ragionando di ciò che “va oltre i limiti
della nostra immaginazione e del mondo a noi accessibile” (Joseph
Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo,
pag. 346). Dobbiamo essere umili e prudenti perché, non essendoci stato
rivelato in che cosa consiste l’aldilà, dobbiamo accettare che la nostra mente
umana non può avere la possibilità di comprendere appieno. Dobbiamo credere in
ciò ci assicura Colui in cui abbiamo fiducia. Dobbiamo cioè ritornare
all’origine. Abbiamo trovato buone ragioni per credere in Dio, il creatore, e
in Cristo Gesù. Abbiamo, con Pietro, risposto: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di
vita eterna”. Abbiamo conosciuto ciò che hai detto al buon ladrone “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).
E allora, ispirati dal soffio di Dio, dallo Spirito Santo, rispondiamo: “Credo la risurrezione della carne…”.
Salvatore