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mercoledì 29 maggio 2019

Il Credo … la resurrezione della carne, ... - Parte seconda


La morte è dunque il passaggio da questo mondo alla vita in Dio. E’ valso per Cristo: “il suo volto risplendette come il sole” (Mt 17,2) e per coloro che meritano quello che noi chiamiamo Paradiso, un non luogo dove “i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13,43).

Corpi mortali trasfigurati in corpi gloriosi: “La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,21). Così l’immortalità non è promessa per l’anima separata dal corpo, come presente nei filosofi greci, è invece promessa a tutto l’essere umano che ha in sorte la riprovazione o la beatitudine a seconda se si è comportato da gramigna o da buon grano.

Ed è qui che comincia ad intravvedersi il vero significato delle parole “risurrezione della carne” come “estensione agli uomini della resurrezione stessa di Cristo”. Tutto quello che noi consideriamo “la nostra vita”, la nostra persona nella sua globalità immateriale, il nostro io che già avvertiamo esistere in questo mondo e che non corrisponde alle molecole materiali bensì al nostro “essere” più profondo, alla nostra “anima”. “Immortalità della persona, dell’unica realtà uomodall’azione salvante di colui che ci ama e ha il potere di fare questo” (Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, pag. 340). Tutto ciò, la nostra carnalità, viene mantenuto, rivestito di incorruttibilità essendo immateriale, trasfigurato in una nuova condizione della nostra umanità. E in questo non luogo che chiamiamo paradiso, in Dio, ritroveremo tutti gli altri “esseri” che abbiamo conosciuto, anch’essi trasfigurati, uniti a noi e in Dio.

Quando ciò avviene? Credo fortemente che quando si parla di “ultimi giorni” o di fine della storia ci si riferisca ai nostri ultimi giorni. Non c’è separazione tra anima e corpo, con quest’ultimo che dovrà attendere la fine dei giorni per riunirsi all’anima. Mi conforta quanto afferma Benedetto XVI (Introduzione al Cristianesimo, pag. 343): “risurrezione: il suo contenuto essenziale non è l’idea di una restituzione dei corpi alle relative anime dopo un lungo intervallo di tempo; il preciso scopo è invece di dire agli uomini che essi, personalmente, continueranno a vivere… l’essenziale dell’uomo, la persona, rimane; ciò che è maturato in questa esistenza terrena, fatta di spiritualità corporea e di corporeità permeata dallo spirito, continua in maniera diversa”. Continua, senza interruzione.



E’ a questo punto delle nostre meditazioni che, nel tentativo di renderci conto del mistero, dobbiamo fermarci e riflettere. Non stiamo ragionando di fatti terreni, di qualcosa di dimostrabile con le nostre regole e con le nostre leggi fisiche che sono valide per un mondo in tre dimensioni spaziali e nel quale la quarta, il tempo, scorre sempre in avanti. Non dobbiamo, perché non possiamo, avere la pretesa di poter dimostrare alcunché. Stiamo infatti ragionando di ciò che “va oltre i limiti della nostra immaginazione e del mondo a noi accessibile” (Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, pag. 346). Dobbiamo essere umili e prudenti perché, non essendoci stato rivelato in che cosa consiste l’aldilà, dobbiamo accettare che la nostra mente umana non può avere la possibilità di comprendere appieno. Dobbiamo credere in ciò ci assicura Colui in cui abbiamo fiducia. Dobbiamo cioè ritornare all’origine. Abbiamo trovato buone ragioni per credere in Dio, il creatore, e in Cristo Gesù. Abbiamo, con Pietro, risposto: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Abbiamo conosciuto ciò che hai detto al buon ladrone “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). E allora, ispirati dal soffio di Dio, dallo Spirito Santo, rispondiamo: “Credo la risurrezione della carne…”.

                                                      Salvatore

mercoledì 15 maggio 2019

Il Credo … la resurrezione della carne, ... - Parte prima


Quando Pietro venne interrogato da Gesù con la terribile domanda “Volete andarvene anche voi?(Gv 6,67) la risposta che diede è in perfetta consonanza con il significato che la fede biblica dà al verbo credere, nel senso di aver fiducia. Dice san Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). Con questa risposta riconosceva che prima si deve aver fiducia (credere in ebraico è reso dal verbo aman, aver fiducia, da cui il nostro amen). Prima viene la Fede, per grazia di Dio o, se vogliamo, per ispirazione dello Spirito Santo. Poi viene la conoscenza in ciò che colui che ci ha ispirato fiducia ci dice, anche se in certi casi è difficile, se non impossibile, comprenderlo. Conoscenza infatti non necessariamente implica comprensione anche perché la conoscenza di ciò che è trascendente viene necessariamente resa con parole del nostro vocabolario umano che non sono certamente in grado di esprimere concetti che solamente umani non sono.

Questa premessa è d’obbligo per accettare quanto ci dicono gli ultimi due articoli di fede senza che il maldestro tentativo di illustrarli utilizzando concetti “terreni” ci porti a ridicolizzarli rendendoli chiaramente assurdi. Pensare infatti alla “risurrezione della carne”, e peggio ancora la versione “risurrezione dei morti” del Credo niceno-costantinopolitano, visualizzando tombe che si scoperchiano e scheletri che fuoriescono dai loculi in cui giacevano è cosa degna al più di un film horror, come pure è inaccettabile ipotizzare che la “risurrezione della carne” equivalga alla ricomparsa, nella vita ultraterrena, delle molecole fisiche di cui il nostro corpo era costituito. E poi quali? Quelle di quando siamo morti o anche quelle che abbiamo “indossato” durante la nostra più o meno lunga vita?

No, chiaramente non dobbiamo lasciarci ingannare da queste interpretazioni, non è questo il senso di molte delle affermazioni del Credo, tra cui le ultime due, rese con il nostro povero vocabolario. C’è molto di più e di assai più profondo.



Siamo di fronte a quello che viene definito “mistero”. E per tentare di ragionare su quello della risurrezione della carne, dobbiamo partire dalla Risurrezione per antonomasia che, non per niente, è chiamato il “Primo mistero glorioso”, quella del Cristo Gesù, rivelazione di Dio all’uomo. Ricordiamo quanto in proposito ha avvertito san Paolo: «"Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la nostra fede" (1Cor 15, 14). Quella Risurrezione non fu infatti la rianimazione di un cadavere ma la trasfigurazione del corpo mortale di Gesù, di cui la Sacra Sindone è la traccia, in un nuovo corpo, vivente per l’eternità “in Dio”. Per secoli la fede di Israele credeva che Abramo, Elia e i grandi profeti erano “viventi in Dio”. E Gesù ce lo aveva confermato “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui” (Lc 20,38). 

                                             Salvatore