Ho lanciato il mio pensiero oltre i
confini della ragione e sono convinto che non tutti arriveranno alla fine di questa
esposizione. Troppo complessa da trattare in un mondo dove si desiderano
descrizioni immediate, redditizie, perché brevi e da non superare la soglia della
scarsa attenzione che oggi impera ovunque.
Esistono zone particolari che non sono condizionate
dai ritagli di idee. Cosa puoi dire, ad esempio, dell’ avversione o della
simpatia ? Quali pezzi dell’intelligenza possono comporsi o aggregarsi per
arrivare alla comprensione di alcuni sentimenti come la vicinanza o la distanza
di una persona. Non riusciamo a cogliere le ragioni di tanti avvenimenti se non
guardandoli con gli occhi del parere, dell’apprezzamento o dell’ esclusione. Ho
capito che non si entrerà mai nella reale comprensione dell’altro se non
uscendo fuori dalle riflessioni che esigono parametri fissi, schemi precisi,
valutazioni talvolta asettiche e molto personali. Ma la realtà non è così
strutturata. Per capire a fondo bisogna oltrepassare i limiti della ragione e
andare nel campo, talvolta non chiaro, dei sentimenti o, meglio, della
partecipazione.
Questo non potrà mai essere fatto dall’intelligenza, perché chi vuole entrare nella sfera personale dell’altro, senza la pretesa di abbracciarla completamente, non potrà mai addentrarsi se non con strumenti che, dentro di noi, esigono altri parametri. L’amicizia, la tolleranza, l’affetto non rientrano nel quadro delle cose condivisibili dalla ragione. Lo stesso grande capitolo che ci porta a scegliere alcune persone e sentire estranee altre, non poggiano su ragionamenti. Ho capito che la vera comprensione ha una sorgente nuova, che non è quella dell’intelligenza, che ne solo una parte. E questo l’ho imparato dalla contemplazione di fatti ed eventi umili, come la pioggia, la sorgente, le nuvole, il mare nel suo continuo ondeggiare.
Questo non potrà mai essere fatto dall’intelligenza, perché chi vuole entrare nella sfera personale dell’altro, senza la pretesa di abbracciarla completamente, non potrà mai addentrarsi se non con strumenti che, dentro di noi, esigono altri parametri. L’amicizia, la tolleranza, l’affetto non rientrano nel quadro delle cose condivisibili dalla ragione. Lo stesso grande capitolo che ci porta a scegliere alcune persone e sentire estranee altre, non poggiano su ragionamenti. Ho capito che la vera comprensione ha una sorgente nuova, che non è quella dell’intelligenza, che ne solo una parte. E questo l’ho imparato dalla contemplazione di fatti ed eventi umili, come la pioggia, la sorgente, le nuvole, il mare nel suo continuo ondeggiare.
Non ci sono ragioni e schemi che
regolano le onde, o il soffio del vento. In cielo non ho riscontrato la via
delle nuvole o la partitura del canto degli uccelli. Eppure tutto sembra
progettato da una fonte che riflette amore. Non saprei spiegarmelo
diversamente. Entrare nell’armonia del creato è scoprire che tutto è regolato
da una corrente di bene che sa offrire a noi, uomini, una sinfonia concertante
senza bisogno di partiture. Questo meraviglioso rapporto del tutto si comprende
solo raggiungendo, non so come né con quali strumenti, una fonte che, come
sorgente, ha il buio di un’origine dalla quale sorge ogni cosa. Ma c’è di più. Solo
quando il mio intimo si carica di quell’energia rassicurante e fuori da ogni
comprensione, e si vive nella profondità del proprio essere la spinta
unificante a non diventare distaccati dalla realtà che mi si offre, solo quando
non mi sento avversario o staccato da ciò che mi penetra, come un effluvio di
bene coinvolgente: è proprio allora che acquisto la comprensione totale di ciò
che mi circonda. E questo vale soprattutto con chi vuole comunicarmi qualcosa:
egli è di fronte a me come una sintesi del suo essere che, talvolta mi si offre
con formule ambigue, ma sempre è un volermi inebriare della sua offerta. Potrà
sembrare umile o confusa semplice o articolata, ma pur sempre un tendere a me,
anche nella durezza di una contrapposizione o nella formula di una lotta.
Sempre è un’offerta che mi si dona con intenti diversi, ma che riesco a capire
con quell’atteggiamento di assimilazione, come il cibo che entra a formar parte
del mio essere.
Mi son chiesto, nell’immagine del cibo,
se talvolta non rischia di essere velenoso o poco adatto al mio corpo. La morte
e la malattia possono diventare la risposta a quella proposta. È proprio qui
che mi si apre il panorama complesso
della comprensione: che faccio o non devo fare ? La risposta mi è apparsa
tragica e indefinibile. In tal caso la comprensione è arrivare alle sorgenti
del buio e capire che accettare o meno una comunicazione appartiene alla vita
concreta in cui c’è lo spazio per il male immediato, non definitivo. Socrate sa
di morire qualora ingerisca la cicuta, e preferisce entrare nel grande mistero
che lo renda accettante di un’offerta di morte. Forse entra nella comprensione
che la sua morte prende spunto, fisicamente, dal veleno ma si percepiva già
radiato dalla sua società. Muore perché intende che la sua vita deve diventare
l’esempio di una proposta diversa, e la sua comprensione è quella di accogliere
di sparire pur di avvalorare le sue idee. È un discorso difficile da accogliere,
se lo collochiamo sulla falsariga delle ragioni più o meno opinabili, ma la
conclusione più vera è che se non ci collochiamo sul piano dell’amore, ogni decisione
può diventare opinabile o discutibile. Sappiamo, per esperienza vissuta che
nulla può diventare intimamente comunicabile se son si segue la via dell’
amore, che non scarta le ragioni, ma le completa in una sintesi superiore.
Comprendere è sempre un processo che ha, alla base, l’amore, quello che non si adultera nei rivoli di tanti ragionamenti.
Comprendere è sempre un processo che ha, alla base, l’amore, quello che non si adultera nei rivoli di tanti ragionamenti.
2 commenti:
Lorenzo, bando al pessimismo: ce n’è almeno uno che è arrivato fino in fondo al tuo tema della comprensione.
Dico la mia partendo da una premessa, partendo da quanto mi hanno insegnato i miei 4 nipoti che ho avuto la fortuna di poter seguire fin dalla nascita, con i figli ero troppo giovane e troppo preso dal lavoro, ancora me ne rammarico.
E’ un po’ il discorso su come funziona la nostra mente, come cresce in capacità assieme all’apprendimento, alla conoscenza del mondo, un processo che continua per tutta la vita.
Il bimbo di un giorno ha capacità logiche estremamente limitate, solo quelle che ha nella sua testolina sin dalla nascita, nel DNA, senza modificazioni derivanti dall’esperienza, chiamerei istinti queste sue capacità.
Esempio: se ho fame debbo strillare, anche senza sapere che così qualcuno gli darà da mangiare.
Poi, sin dai primi mesi, i sensi si sviluppano gradualmente assieme alla capacità di valutazione degli eventi (causa ed effetto eccetera), il bimbo impara sempre più, mi ha fatto impressione come un bimbo di 1-2 anni già si interessi a quanti “grandi” ha intorno: se ne rimane senza è in pericolo, e la mamma è sempre il meglio. Ne fa spesso la conta, non si sa mai.
E così cominciano le valutazioni sui fatti del mondo, valutazioni ovviamente dipendenti dall’ambiente di vita e dal carattere più o meno autonomo, le differenze di carattere si notano molto presto, sembra proprio che ci sia qualcosa che viene dal DNA.
Le valutazioni portano alle prime decisioni, alla formazione dei nuovi “istinti”, ossia delle reazioni automatiche non conseguenti ad un ragionamento, ma solo ad un’abitudine.
Ma gli “istinti” si possono anche creare: dopo qualche settimana di scuola guida il difficilissimo compito di spingere e rilasciare la frizione al momento giusto diventa automatico, un istinto, la mente rimane libera di non pensarci più.
E come si possono creare, gli istinti si possono anche modificare, basta avere una vera e forte volontà.
La volontà: elemento imponderabile, che richiede la grande forza di resistere agli istinti, forza che credo possa essere data solo da un profondo ideale, un convincimento non discutibile che renda rapidamente credibile che è più conveniente non dare retta all’istinto difforme dall’ideale.
Veniamo ora alla comprensione del prossimo, che definirei come la capacità di conoscere i problemi, i desideri reali, gli istinti, l’ambiente di vita del prossimo, cose estremamente difficili da valutare, c’è chi ci riesce bene e chi no.
Ma sono l’elemento fondamentale per un corretto rapporto, che poi diviene utile per ambedue le parti. Intendiamoci: corretto sempre al meglio, la perfezione non è di questo mondo.
Avevo accennato agli ideali, che dovrebbero permettere di superare gli istinti, e qui sono d’accordo con te che l’unico ideale che permetta a noi, genere umano, di convivere come si addice alla razza più elevata del creato, è l’amore.
L’amore è quell’ideale che ci fa per prima cosa cercare di comprendere il prossimo per potergli anzitutto essere di aiuto, chiedete ad una mamma.
Se ci comprendessimo e quindi ci aiutassimo un po’ di più uno con l’altro tutto andrebbe molto meglio, anche per i ricchi di denaro.
Un ultimo punto riguardante la ragione: nel passato la conoscenza cresceva man mano che la ragione cercava e riusciva a spiegare i vari fenomeni del mondo, usando la filosofia, la matematica, le scienze e eccetera. Attorno al 1930, poco meno di un secolo fa, le parti hanno cominciato ad invertirsi: la matematica era progredita al punto che ha cominciato lei (Einstein ed altri) a prevedere certi comportamenti della natura, e l’esperienza è servita a confermare quanto previsto, a posteriori.
Questo non vuole assolutamente dire che la ragione possa essere lasciata libera, senza principi: quanto disastri ha combinato … ma non vuol dire nemmeno di mettere la ragione sotto terra.
E’ evidente che i nostri punti di partenza sono agli opposti, ma così è ancora più bello incontrarsi.
Bello.
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